Martedì 23 Aprile 2024

E adesso Leo ha davvero raggiunto Diego

Il titolo colma il vuoto nel palmares della “Pulce“. Il genio ha aggiunto un po’ di sregolatezza: "E ora altre partite con la maglia di campione"

di Paolo Grilli

E’ l’unico a non piangere quando il trionfo è compiuto. Ci pensa sua madre, che lo abbraccia in mezzo al campo, a versare lacrime di gioia purissima. L’estasi di Leo Messi è leggera, è pacificazione. La casella vuota del Mondiali vinti era sempre stata il cruccio del campionissimo, tormento sottile e consciamente condiviso con una nazione intera. Ora Diego è raggiunto, la lacuna è un ricordo. E quella zavorra sull’anima è stata spazzata via dal rigore di Montiel che ha mandato l’Albiceleste in paradiso.

Leo campione del mondo. Una laurea rimasta per lunghissimi anni nella cassaforte inespugnabile dei desideri: di Messi, dell’Argentina ma poi di miliardi di ammiratori che avrebbero voluto un’ultima e più alta incoronazione per il grande genio. Come se non contassero le quattro Champions vinte, i sette Palloni d’Oro a suggellare lo spessore del fuoriclasse.

I tifosi, però, vivono di sogni e quello di Messi era rimasto fino a ieri sera impolverato da un’ombra. Il destino, sotto forma della finale più bella della storia, ha risistemato tutto. La Pulce diventa a buon diritto il Gigante del nostro immaginario, fuoriclasse senza pecca e senza rimpianti.

Il Mondiale del Diez è stato al di sopra di ogni aspettativa: anche di quelle che può attirarsi un giocatore costantemente al centro della discussione su chi sia il migliore della storia.

Quando era arrivata la sconfitta al debutto con l’Arabia, si era scatenata la gara a intonare il requiem per un’Argentina con ambizioni di vittoria, e a maggior ragione per Leo. Nessuno aveva fatto i conti con il cuore di un giocatore mai così in missione come in Qatar.

Il gol contro il Messico ha segnato l’inizio di una risalita inesorabile, a suon di gol – sette – fino al trionfo. Messi leader, non più l’algido fuoriclasse trascinartore sì, ma non di folle, come sapeva invece essere l’altro. Con una critica ulteriore e spietata ad appesantirgli l’animo: di aver tradito il suo Barça per il Psg facendo prevalere il portafogli sul cuore. Ma è stato anche rabdomante, Leo, perché minuto dopo minuto nel corso delle sette partite è stato in grado di ritrovare la classe di tutti i compagni, quella che si era perduta dopo l’esordio choc. La serpentina contro la Croazia, copia sublime di quella di Maradona contro l’Inghilterra nel 1986, è stata l’indizio di una magia che stava per compiersi. Da dedicare poi alla nonna Celia, sempre nei suoi pensieri.

La finale è stata all’altezza del suo ruolo di extraterrestre planato sui campi di pallone. Il rigore dell’1-0, la zampata del 3-2 hanno dimostrato la freddezza di chi ha già chiaro dove mettere i piedi guadagnando la vetta.

La forza del destino è più forte di tutto, persino di quel Mbappé che, in termini oggettivi, potremmo porre a un livello ancora superiore a quello di Messi nella partita di ieri.

Ora Leo può cantare “Muchachos“ ancora più forte. La storia unisce i due numeri dieci in maniera indissolubile nell’Olimpo. La musica li celebrava già. Genio con un po’ di sregolatezza, finalmente, a trentacinque anni. A Messi mancava giusto quella “garra“ un po’ esibita per arrivare fin lassù. Il dopopartita con l’Olanda ci aveva mostrato il nuovo volto della Pulce, il ghigno di chi avrebbe fatto di tutto pur di conquistare questo magnifico tango. Che non sarà l’ultimo: "Si è realizzato il sogno che avevo da bambino e ora voglio giocare ancora in nazionale da campione del mondo", le parole dopo aver alzato la Coppa. Lo show non finirà adesso, per fortuna.