Martedì 23 Aprile 2024

Da Villa Bellini al Real il Conte che non c’è più

La pace con la società ha portato un tecnico diverso: da Vidal a Eriksen, dal flop in Champions al gioco i nodi di una squadra da ritrovare

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di Mattia Todisco

Al momento del famoso vertice di Villa Bellini, fine agosto di una stagione stramba in cui i bilanci primaverili si sono improvvisamente spostati all’estate, il grosso rischio per Antonio Conte era quello di non mangiare le castagne.

I pronostici gli erano contro, leggendo le sue stesse parole con cui aveva salutato la finale di Europa League persa col Siviglia. Una lunga serie di assalti virgolettati alla società avevano fatto tremare il terreno sotto i suoi piedi.

Sabbie mobili in cui era impantanata anche l’Inter stessa, con cui Conte vanta un contratto da dodici milioni annui fino al 2022. Una prigione dorata in doppio senso di marcia, con Spalletti ancora a bilancio fino a giugno prossimo. Si è scelto, forse anche per ragioni di denaro, di andare avanti.

Ma Inter-Real Madrid, una sconfitta in cui non si trovano spiragli di luce, ha aperto il cassetto dei processi (per l’allenatore e il gruppo squadra) spostando l’orizzonte della deadline dalle prelibatezze settembrine a quelle natalizie. "Se non mangerò il panettone vorrà dire che non l’avrò meritato", dice Conte a Striscia La Notizia nel ricevere il Tapiro d’Oro. Nell’era del Covid, aggiungere un terzo tecnico il cui nome è già scritto (Allegri) era al momento di Villa Bellini ed è oggi un passo economicamente azzardato.

Il Fair Play Finanziario è un obbligo, nonché una strada che Suning (chiamata oggi ad approvare un bilancio con -100 milioni davanti all’assemblea dei soci) ha tutta l’intenzione di percorrere. Conte viene da una stagione con un secondo posto in A più una finale europea e in campionato è tutt’altro che spacciato, ammesso che non imbocchi la strada del crollo già a partire da Sassuolo-Inter di domani, in cui riavrà Brozovic dopo la parentesi coronavirus.

Deve però uscire da alcuni equivoci che la scorsa stagione non si sono mai presentati. La squadra che partiva a spron battuto e calava nei finali, particolarmente negli scontri di alto livello, ora si è abituata alle partenze lente contro ogni tipo di avversario e non sempre riesce a rimediare.

Ha aggiunto un paio di esperti generali come Kolarov e Vidal, il secondo sognato e voluto da Conte come fosse il Gral, i cui galloni non bastano se poi il presente è inversamente proporzionale al curriculum. Vale lo stesso per l’allenatore. La buona annata con cui ha aperto il suo triennio sancito da contratto, comunque senza iscrizioni negli albi d’oro, è insufficiente a salvarlo dagli improperi che a stadi aperti avrebbe probabilmente ricevuto dal vivo insieme ai giocatori e che si sono traslati sui social.

Ha cambiato strategia comunicativa, tornando a un più agonistico lessico solo nel post-partita con il Torino, senza che la squadra riuscisse a recepirne il richiamo alle armi (vedi approccio da censura contro le merengues). Ha in Eriksen la carta di lusso a cui non vuole far ricorso per eccesso di occasioni sprecate dal danese.

Da qui a concedere 5’ in campo di una partita già persa, ovvero quanto accaduto in Champions, passa però tutta la strada del mondo. C’è la sensazione dello sgarbo, non della scelta tecnica. Qualcosa che non giova. Che non sa del Conte lucido in battaglia a cui la storia personale del tecnico ha abituati.