di Doriano Rabotti Sembrano proprio prove tecniche di addio, probabilmente reciproche. Con Marotta e l’Inter spettatori interessati di uno spettacolo che stona con le abitudini passate della Juventus ma insomma, il mondo è cambiato per tante cose, ci sta che anche nella casa della Signora si debbano accettare nuovi sistemi, meno...deferenti. Il punto è il rinnovo di Paulo Dybala, soltanto l’ultimo caso di una serie che ha avuto episodi un po’ su tutti i canali e colori sociali, dai Kessie ai Belotti, agli Insigne e ai Vlahovic per restare soltanto ai nomi più recenti, o Donnarumma non tanto tempo fa. Ormai è un classico, quando di un prolungamento si inizia a parlare con larghissimo anticipo e poi non arrivano le firme, significa che almeno una delle due parti non è convinta, se non entrambe, e che ogni parola spesa prima del verdetto può avere un peso, a volte decisivo per lasciarsi. Comprese le parole che non ti ho detto, per citare il titolo di un film che si adatterebbe alla perfezione all’esultanza senza Joya che Dybala ha messo in mostra dopo il gol all’Udinese, sabato sera. In realtà le parole sono arrivate, ma hanno fatto quasi peggio del silenzio. Perché prima Dybala ha provato a spiegare i mancati festeggiamento per la rete dicendo di aver cercato in tribuna senza trovarla una persona che aveva invitato allo stadio, e se fossero parole dedicate alla dirigenza Juve sarebbero di un’ironia di livello superiore. Ieri poi l’argentino è tornato sul tema con un post sui social che vira la questione su un piano più personale, "Bravi ragazzi! Vittoria, 3 punti e un goal dedicato sempre lassù", intendendo la memoria del padre scomparso ormai da tempo, e qui il rispetto umano impone di non aggiungere dietrologie. Anche perché non ce n’è bisogno: la situazione sembra abbastanza chiara, nella ...
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