Mondiali, diritti violati e corruzione. Ma il Qatar degli scandali ha avuto ciò che voleva

Il Paese arabo, nonostante le accuse, ha fatto cassa con la manifestazione calcistica. Da Putin ad Al Thani, quando lo sport è uno strumento per ripulirsi l’immagine pubblica

Roma, 18 dicembre 2022 - Le inchieste penali sulla cricca di Panzeri che squassano Bruxelles; lo scandalo dei 6.500 lavoratori morti nella costruzione delle infrastrutture per i Mondiali; i diritti umani e soprattutto civili negati; le voci delle combine con Sarkozy e Platini per aggiudicarsi la rassegna iridata, la democrazia assente. Tutto vero. Volano tonnellate di accuse e anche di fango sull’emirato. Ma alla fine della partita, al termine della finalissima dei Mondiali, avrà comunque vinto il Qatar.

Qatargate, moglie e figlia di Panzeri: "Estranee a tutto". Letta: "Nel Pd persone perbene"

L’emiro del Qatar, Tamim Al Thani, con il presidente della Fifa, Gianni Infantino
L’emiro del Qatar, Tamim Al Thani, con il presidente della Fifa, Gianni Infantino

Perché il Mondiale, un Mondiale asettico e preciso nell’organizzazione, ma senza cuore, l’ha legittimato e perché chiunque si imponga – Messi o Kylian Mbappé ma se in finale fosse andato il Brasile, c’era Neymar – a trionfare sarà uno stella del Paris Saint-Germain, squadra dal 2011 nella scuderia di Nasser bin Al-Khelaïfi, ad del beIN Media Group e presidente del fondo sovrano Qatar Investment Authority, uno dei più importanti del mondo. E poi perché al di là delle roboanti ed esagerate dichiarazioni del buon amico di Doha, Gianni Infantino ("Il mondiale più bello di sempre", niente di meno) il soft power dei dollari qatarioti – che hanno speso 220 miliardi in 12 anni, che sarà mai una ’stecca’ a Panzeri e a qualche eurodeputato compiacente – ha legittimato lo sportwashing , l’uso degli eventi sportivi per ripulirsi l’immagine, già visto con Putin o, andando indietro nel tempo, con Hitler.

La linea politica della Fifa, strenuamente difesa da Infantino, è non immischiarsi: prima i gol e poi i diritti. Musica per le orecchie dell’emiro Tamim bin Hamad Al Thani e per tutti coloro che non fanno della democrazia il proprio faro. Il progetto qatariota era lucido: usare i Mondiali come vetrina. Molto si è scritto sul pranzo segreto del 23 novembre 2010 all’Eliseo al quale parteciparono l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, l’allora numero uno dell’Uefa Michel Platini e il figlio di Hamad bin Khalifa Al Thani, Tamim, all’epoca dei fatti principe ereditario, oggi emiro.

Come risultato, dieci giorni dopo, quando la Fifa si riunì per assegnare i mondiali 2018 e 2022, la Francia, con un voltafaccia inatteso, votò per il Qatar e non per gli Stati Uniti. E, casualmente, pochi mesi dopo il Qatar acquistò una commessa di Airbus francesi, poi nel 2011 Qatar Sports Investments prese il Psg e fu lanciata in Francia la piattaforma televisiva qatariota beIN Sports, che ottenne l’assegnazione dei diritti tv del campionato di calcio francese e quelli dei Mondiali di calcio. E nel 2015 i qatarioti acquistarono anche i caccia Rafale francesi: una commessa da 6.3 miliardi di dollari. Bingo.

Soldi, soldi, soldi, sparsi come sabbia del deserto. E quello qatariota è un esempio che nel Golfo ha fatto scuola. Se Doha, ingorda, vorrebbe le Olimpiadi del 2036, l’Arabia Saudita i Mondiali del 2030 e ha già ottenuto i Giochi invernali asiatici del 2029, a Neom. I giochi invernali nelle torrida, desertica Arabia Saudita? Sissignore. I sauditi costruiranno entro il 2025 nel nord del Paese, lungo le pendici di una montagna che sfiora i 2.600 metri, la stazione invernale di Trojena dove in pieno inverno, grazie all’innevamento artificiale, si potrà sciare. Del resto dopo le olimpiadi invernali a Pechino, nell’improbabile sito di Yanquing, tutto è possibile. Basta pagare.

E del resto nessuno tra i potenti del mondo fa troppo lo schizzinoso perché il Qatar – ricco di petrolio ma soprattutto di gas naturale – è essenziale alla luce della decisione di Putin di invadere all’Ucraina e alla conseguente necessità dell’Europa di fare a meno il prima possibile del gas russo. Per farlo è essenziale il gas liquefatto (Lng) del Qatar. E l’Europa lo sa bene. Da anni grandi aziende europee investono in Qatar (Eni ad esempio è partner al 25% di QatarEnergy nel progetto di 27 anni North Field East, il più grande terminale Gnl al mondo) e gli investimenti qatarioti in Europa sono benvenuti così come le grandi commesse, militari e non solo. Il calcio, lo sport, sono solo la ciliegina sulla torta che tutti si vogliono spartire. E Doha paga e sorride.

Come scrisse Oscar Wilde nel Ritratto di Dorian Gray, "c’è solo una cosa peggio dell’essere chiacchierati: il non essere chiacchierati". Il Qatar non corre questo rischio. Si sparla di lei, a volte, ma Doha resta seduta alla tavola internazionale al posto d’onore, elargendo benevola panem et circenses . E la sua coppa la vince così.