Mondiale dei diritti negati, Qatar tra calcio e Sharia. Gay e donne: vietato criticare

L’ipocrisia dell’Occidente che tace sulle limitazioni della libertà. Gli organizzatori offrono biglietti ai supporter: "Ma dovete segnalare chi offende il governo"

Immaginate la finale dei Mondiali di calcio a Pescara. Strano, vero? Eppure, tra pochi giorni tutto il mondo avrà gli occhi puntati su una terra poco più grande dell’Abruzzo, dove sul serio si giocheranno i Mondiali 2022. Solo che il Qatar ha decisamente meno tradizione calcistica (e sportiva) di Pescara... Se non fosse per il fuoriclasse del salto in alto Mutaz Essa Barshim, qui lo sport più seguito è la corsa dei cammelli, che fino al 2004 prevedeva solo fantini bambini: ora le frustate le danno i robot telecomandati.

A caccia di reputazione

L’assegnazione del Mondiale, nel 2010, ha fatto discutere da subito, se non altro perché non c’erano proprio gli stadi, costruiti poi in tempi record ma pagando, secondo le organizzazioni per i diritti umani, un prezzo altissimo: non solo i 210 miliardi spesi per creare infrastrutture sportive e non, ma anche gli almeno 6.750 operai morti, tutti stranieri. È lo "sportwashing": organizzare eventi globali per rendere moderna la propria immagine e far distogliere lo sguardo dalla situazione dei diritti umani. Tipo dare 150 milioni di sterline a David Beckham, ex stella del calcio inglese, per fare da testimonial nei prossimi dieci anni. Un soft power che usa strumentalmente lo sport, che la retorica vorrebbe infatti apolitico, neutro, imparziale.

Un calcio ai diritti

Ma la situazione dei diritti in Qatar è tutt’altro che neutra. Il sistema legale mescola diritto civile e Sharia, la legge islamica. L’omosessualità – definita "disagio mentale" dal non indimenticabile ex calciatore Khalid Salman, ora "ambasciatore" del torneo – è reato. Il consumo di alcol e i rapporti sessuali "illeciti" sono puniti con la fustigazione. Nel 2020, dopo 20 anni di sostanziale moratoria sulla pena capitale, Doha è tornata a eseguire una condanna a morte, su un nepalese. La condizione delle donne è relativamente migliore rispetto ai Paesi dell’area: possono votare ed essere elette, molte sono laureate e il tasso di occupazione è sopra la media mondiale. Le qatariote possono entrare negli stadi, ma nella vita quotidiana la Sharia le costringe al regime di tutela maschile.

Ipocrisia e miopia

E che cosa ne dice il mondo del calcio? Nel 2021, durante gli Europei itineranti, a tenere banco furono le mobilitazioni anti razzismo, ma non tutti scelsero di inginocchiarsi in segno di solidarietà con le persone di colore. E fu polemica. Come per i divieti di "propaganda Lgbt" durante Russia 2018. Invece su Qatar 2022 le prese di posizione sono arrivate forse tardive, tra vaghe minacce di ritirarsi e rivendicazioni di portare avanti battaglie pro diritti. La Norvegia, che poi comunque non si è qualificata, voleva boicottare la kermesse, ma la federcalcio di Oslo ha votato contro, anche perché la stessa Fifa – il governo globale del calcio – ne aveva minacciato l’esclusione dal mondiale Usa-Messico-Canada 2026. In fondo, gli interessi economici occidentali sono enormi: l’Ue è primo partner commerciale del Qatar. Quindi a protestare sono gruppi di tifosi o singoli calciatori, non certo i governi nazionali.

La protezione della Fifa

Se poi qualcuno propone gesti eclatanti, arriva la tagliola della Fifa, che di Qatar 2022 si è fatta garante, sponsor e difensore a spada tratta. "Concentratevi sul campo, non lasciate che il calcio venga trascinato in battaglie ideologiche o politiche": è la lettera che il grande capo del football, l’italo-svizzero Gianni Infantino (ormai trasferitosi a Doha con la famiglia), ha mandato alle 32 nazionali. Così è stato vietato lo slogan "Diritti umani per tutti" che la nazionale della Danimarca voleva piazzare sulle maglie d’allenamento. Copenaghen si è amaramente adeguata: "Ci dispiace, ma rispettiamo le regole imposte, per evitare sanzioni o multe". Ma almeno la terza maglia sarà nera in segno di lutto per gli operai morti. Gli organizzatori del torneo hanno pure ingaggiato claque di tifosi: il "contratto" firmato li obbliga a non criticare il Qatar e anzi "segnalare eventuali commenti offensivi, degradanti o ingiuriosi". Forse era meglio l’Abruzzo.