Gianluca Vialli e l'ironia. Quando si finse cinese al telefono per evitare l'intervista

La Sampdoria di Boskov aprì un ciclo di successi puntando su scherzi, sorrisi e risate, armi segrete che Luca usava anche nella vita privata

Roma, 6 gennaio 2023 - Gianluca Vialli era già uno dei talenti 'terribili' – nel senso che avevano già preso a spallate l'egemonia del pallone a strisce: Juve, Milan, Inter – della Sampdoria. Era deflagrato calcisticamente grazie 'all'innesco' che poi diventerà il suo più grande amico, Roberto Mancini. Era, insomma, uno dei 'gemelli del gol', soprannome azzeccatissimo che era stato di due bomber blucerchiati del passato e cioè la 'Doppia B', Baldini e Bassetto. Era la metà degli anni '80 e Zio Vuja – Vujadin Boskov – era concentratissimo nell'incastonare quella Sampdoria che avrebbe vinto scudetto e coppe, sfiorando il trionfo in Coppa dei Campioni. Una Sampdoria nella quale scherzo, sorriso, risate, erano elementi fondanti dello straordinario successo di quella squadra.

Vialli, ultimo simbolo di un'Italia ottimista che non c'è più (di Leo Turrini)

Il coro dei tifosi della Sampdoria per Luca Vialli

Il fattore 'cazzeggio', proprio a partire da Zio Vuja, era un'architrave di quello spogliatoio. Mancini, Vialli, Vierchwood, Lanna e tutti gli altri. Si cazzeggiava sull'età di Toninho Cerezo, si faceva l'imitazione della scena del cazzottone cinematografico di Rocky, con Vialli a fare Stallone e il Mancio a imitare la caduta a rallentatore del ko. "Siamo amici per davvero. Uniti da valori comuni, senso di appartenenza, sogni e una necessità assoluta di cazzeggiare. Siamo riusciti a ottenere quei risultati sempre divertendoci molto", diceva Gianluca poche settimane fa, nei giorni della presentazione di 'La bella stagione', il docufilm di Marco Ponti che parte da quella magnifica Samp, raccontandone la storia di successi e amicizia e termina con lo straordinario, struggente abbraccio di Mancini e Vialli a Wembley. In lacrime, felici come forse mai prima, considerando quel che Gianluca stava passando. Non è difficile da comprendere come il Mancio l'abbia voluto con sé in Nazionale non solo per le straordinarie doti tecniche, di personalità  e umane, ma anche per dargli un'arma in più contro quel male bastardo.

Gianluca Vialli con la maglia della Sampdoria nella stagione 1988-1989 (Alive)
Gianluca Vialli con la maglia della Sampdoria nella stagione 1988-1989 (Alive)

Chi scrive queste poche righe, poco più che ventenne all'epoca della Grande Samp di Paolo Mantovani, si affacciava tra mille difficoltà nel mondo delle penne sportive, collaborando ora con un quotidiano, ora con un periodico. Ce n'era uno, 'Galassia dell'Informazione',  mensile della Fnsi, la Federazione della Stampa, per il quale realizzavo interviste con i monumenti del pallone dell'epoca. Ricordo una bellissima chiacchierata con Ottavio Bianchi, per dirne una. A quei tempi non c'erano cellulari, né gli implacabili squadroni degli uffici stampa che oggi soffocano qualsiasi iniziativa che non sia irreggimentata dai club. Non c'erano le tv mangiapallone e i canali ufficiali delle società di calcio. Semplicemente, se volevi un'intervista, o andavi al campo e beccavi il giocatore, oppure lo chiamavi a casa col tuo bel telefono a rotella.

Ricordo che mi misi sulle tracce del numero di casa di Gianluca Vialli. E c'era solo un modo: il porta a porta con i colleghi giornalisti più amici, o attraverso qualche giocatore. E così fu. Armato di penna e taccuino, compongo il numero e lascio squillare il telefono. Qualcuno risponde, è Vialli, con la sua voce inconfondibile: "Pronto?" E io: "Buongiorno, Gianluca Vialli?". E lui: "Sì?". E io: "Piacere sono un giornalista, vorrei farle un'intervista, le rubo solo cinque minuti...". Da lì, la telefonata diventa uno spasso, perchè Vialli cambia intonazione e anche suono della voce, imitando un accento straniero, tra un'improbabile sudamericano e una ancor più improbabile inflessione orientale. Avete presente la scena del film di Fantozzi in cui fa 'l'accento svedese' per darsi malato e viene beccato subito dal suo dirigente? Ecco, una cosa simile. "No, spiace, signole uscito, no tolna..." mi dice Vialli dall'altra parte della cornetta. Solo che non ce la fa a non ridere. E ride, mentre prosegue in questa troppo divertente pantomima. Io insisto e rido anche io: "Mi scusi Gianluca, ma a me pare che fare gol le riesca molto meglio dell'imitazione di un collaboratore domestico...". E niente, lui ridendo e proseguendo nella performance da Marco Mazzocca ante litteram, alla fine si congeda: "'rivederci, dico a signole che chiamato...". Clic. Naturalmente, l'avrete capito, quell'intervista non sono mai riusciuto a farla, pur avendo provato a chiamare e richiamare. Trentacinque anni dopo però, custodisco ancora nel cuore il ricordo della più bella e divertente intervista che non sono mai riuscito a portare a casa.