Giovedì 25 Aprile 2024

JORGINHO

La ricerca della perfezione. E quel rigore è raffaelliano

di Giuseppe Tassi

Dopo quel gol dal dischetto l’Italia intera ha cominciato ad amarlo come un profeta. Jorge Luiz Frello Filho, in arte Jorginho, è diventato un idolo popolare, l’emblema di una Nazionale che sa reagire con fermezza ai colpi della sorte, che sa cavarsela anche nelle situazioni più intricate.

Sarà pur vero che non è da un rigore che si giudica un giocatore (come canta De Gregori) , ma la freddezza, la calma glaciale con cui Jorginho ha trasformato il penalty che ha piegato la Spagna merita una celebrazione. Dopo 120 minuti di lotta allo stremo, dopo il tiro dagli undici metri fallito da Locatelli e la parata di Donnarumma su Morata, il destino era nei piedi del brasiliano di Vicenza. E lui non ha fallito la prova, confermandosi l’anima equilibrata di questa Nazionale, il metronomo, il facilitatore di gioco.

Sì perché Jorginho non è solo un regista del centrocampo, ma è l’uomo che risolve i problemi, che stempera le situazioni critiche, che allenta la tensione. Quasi raffaelliano nella sua ricerca delle perfezione stilistica, delle nitidezza di tratto. Non a caso in questa galleria di azzurri e grandi pittori viene acostato allo ’Sposalizio della Vergine’ di Raffaello, con la sua magica prospettiva e la qualità pittorica che insegue e trova un equilibrio perfetto.

Se l’Italia dovesse vincere l’Europeo il Raffaello azzurro ha alte probabilità di aggiudicarsi pure il Pallone d’oro di France Football. Perché in due stagioni al Chelsea ha vinto prima l’Europa League (con Sarri) e poi la Champions (con Tuchel). Ma soprattutto ha dimostrato una crescita tecnica costante che si sposa con la maturità dei suoi 29 nni.

Non è mai stato un giocatore appariscente, non è uno che ruba la scena, ma ha qualità guerriere e geometrie, grande forza nel contrasto e capacità di rilanciare prontamente. Ma soprattutto fa star bene la squadra, la lascia respirare, si offre come appoggio, risolve le situazioni critiche. E non solo dal dischetto, dove ogni tanto fallisce pure.

Ma dov’è che l’Italia ha pescato questo brasiliano che canta l’inno a squarciagola, che si sente il più azzurro degli azzurri, che stupisce sempre per attacamento alla maglia e alla bandiera?

Il merito è di un trisavolo paterno, Giacomo Frello, che lasciò un paesino della provincia di Vicenza (Santa Caterina di Lusiana Conco)per emigrare in Brasile. E’ grazie a lui che oggi Jorginho può dirsi italiano, fiero delle sue radici recuperate. Perché nel nostro paese l’aspirante calciatore è arrivato a quindici anni. Giocava nelle giovanili del Verona ed era ospitato in un convento di frati. Era arrivato lì per formarsi, come uomo e calciatore, dopo la separazione dei genitori in Brasile. La madre Maria Tereza era una ex calciatrice dilettante. E’ stata lei a trasmettergli i cromosomi del pallone e la passione per lo sport. E’ stata lei a puntellare la volontà del suo Jorginho quando aveva deciso di smettere e di dire basta con il calcio. Da oltre oceano arrivò un vero e proprio diktat: resti dove sei perché quella è la tua strada. E di strada il giovanotto ne ha fatta tanta. Promozione in Serie A con il Verona, poi l’avventura napoletana con Sarri all’insegna di un calcio pieno di gioia e qualità, fino alla regia del Chelsea sotto la guida del suo mentore dalla sigaretta accesa e poi del bravissimo Tuchel.

Appassionato di moda (veste Dolce e Gabbana) di pasta e pizza, Jorginho si sente profondamente italiano. La dieta, nonostante il fisico asciutto, è stata spesso il suo problema e c’è voluta la lezione di Sarri per convincerlo a darsi regole più ferree a tavola. In questi Europei è stato la guida sicura dell’Italia, l’elemento di equilibrio e anche il risolutore. Gli manca un ultimo passo proprio contro quegli inglesi che conosce benissimo per la lunga milizia nella Premier.

Per una volta il maestro della discrezione e del tratto perfetto ha voglia di prendersi i riflettori.