Sabato 20 Aprile 2024

Tanti applausi, niente soldi: SOS calciatrici

Dopo il successo dei Mondiali nulla è cambiato: le donne del pallone non possono ancora essere professioniste. "Così non si va avanti"

L’esultanza delle azzurre dopo la conquista dei quarti di finale ai recenti mondiali

L’esultanza delle azzurre dopo la conquista dei quarti di finale ai recenti mondiali

Milano, 20 febbraio 2020 - C’è una data storica da segnare nel recente boom del calcio femminile italiano. Il 18 giugno 2019, a Valenciennes, l’Italia perse 0-1 contro il Brasile la terza partita ai mondiali di Francia, ma quel giorno la nazionale del capitano Sara Gama segnò un gol più importante: il primo sorpasso di audience televisiva sui colleghi maschi. Furono 7,3 milioni, infatti, i telespettatori che seguirono su Rai1 le azzurre di Milena Bertolini, per un 32,8% di share in prima serata, contro i 5 milioni di Grecia-Italia (28,7%), 10 giorni prima, per le qualificazioni agli Europei del team di Roberto Mancini.

"Il caso dimostra che il sistema del calcio femminile si comporta come quello maschile: se stimoli l’offerta, la domanda c’è", osserva Giovanni Capuano, giornalista di Radio24 e moderatore dell’incontro "La presenza femminile nell’ambito calcistico", ieri a Milano organizzato da Cives Universi. Il riconoscimento del professionismo, le tutele del contratto di lavoro, le partnership con i club maschili, il ruolo dei social media e i casi di successo per generare un ciclo virtuoso di pubblico e sviluppo economico del movimento: questi i temi affrontati da Monica Colombo (Corriere della Sera), Dalila Setti (Sky), Fabiana Della Valle (Gazzetta dello Sport) e dall’avvocato Daniele Griffini.

Le stime danno a 31mila le tesserate in Italia: "Un decimo della Germania, ma in crescita del 40% negli ultimi dieci anni e del 20% per effetto del Mondiale. Permettere alle donne – osserva Capuano – di allenarsi in modo professionale porta a dinamiche simili: un terzo delle azzurre proviene dai top club (Inter, Juventus e Fiorentina) proprio come per i maschi". Un volano è stato l’obbligo Figc per le società di Serie A e B, sancito in era Tavecchio, di allestire una squadra femminile: "Ha fatto triplicare la presenza di tesserate in quei club, con miglioramento delle loro prestazioni".

Eppure, per il calcio italiano, le 11 azzurre che hanno appassionato 21 milioni di persone in Tv fino ai quarti di finale e 150mila tweet con #ragazzemondiali, non sono professioniste ma ancora dilettanti. "A oggi – spiega Griffini – la Federcalcio riconosce solo il professionismo maschile in Serie A, B e C. L’emendamento Nannicini in Finanziaria, prevede sgravi contributivi e previdenziali fino a 8mila euro alle società che stipulino contratti professionistici con le atlete. Basterà? Il sistema non è ancora economicamente sostenibile. In estate l’Atalanta Mozzanica, finita la partnership con l’Atalanta Bergamasca, ha rinunciato alla Serie A".

La prima Serie A femminile si è giocata nel 1968 e il divario con il mondo maschile è enorme. "Durante i mondiali l’Unicef – ricorda Setti – ha twittato che 1693 calciatrici insieme non guadagnano la metà di Messi. Ma i segnali ci sono, la Fifa aumenterà il montepremi del mondiale a 60 milioni nel 2023, e il big match Juventus-Fiorentina ha portato 40mila tifosi all’Allianz Stadium". La Juve è il caso virtuoso citato da Della Valle: "In pochi anni conta 158 tesserate, 23 atlete della prima squadra e 9 team del settore giovanile, con una sponsorizzazione da M&M’s".

Un aiuto può arrivare dai social, dove le ragazze diventano mini-influencer. I 218mila follower di Barbara Bonansea sono pochi rispetto ai numeri di CR7, ma le ragazze sono viste più vicine ai valori positivi dello sport. Di certo, lo status di professioniste dalla Federazione cambierebbe le cose: "Ma bisogna aspettare – spiega Griffini – che il calcio femminile venga riconosciuto come ‘spettacolo’, in equilibrio fra costi e ricavi".