Anche il calcio è finito nel pallone. E il Covid ha dato il colpo di grazia

Squadre con i conti in rosso e stipendi stellari da pagare: per la prima volta questo mercato conosce la crisi. L’addio di Leo al Barça lo conferma: finita l’era dei grandi presidenti, resistono solo i ricconi arabi e russi

Lionel Messi (Ansa)

Lionel Messi (Ansa)

Se il Barcellona, club che ha vinto 4 Champions in vent’anni e che fino a pochi anni fa poteva permettersi di rinunciare allo sponsor, non riesce a rinnovare il contratto di Leo Messi, suo giocatore simbolo, significa che un intero mondo del calcio oggi è ufficialmente finito.

Stiamo parlando del giocatore migliore al mondo, sei volte Pallone d’Oro, che ha appena vinto la Copa América; ma non solo di un giocatore. Leo ha legato la sua vita ai catalani: més que un jugador. Era un ragazzino che il Barcellona portò in Spagna da Rosario pagandogli costosissime cure da 500 euro al giorno per farlo crescere. È l’uomo delle 4 Champions e delle 3 Coppe del mondo per club: ha cambiato la storia dei catalani, non poteva altro che chiudere la carriera tra le Ramblas e il Montjuic. Luoghi simbolo, ma il calcio sgretolato dai debiti, rinuncia anche alle sue icone.

Il Barça ha provato a spalmare il suo contratto in cinque anni, Leo ha tagliato le sue pretese, la trattativa è durata quattro mesi. Alla fine si sono arresi. Messi andrà al Paris Saint–Germain dell’imprenditore qatariota Nasser Al-Khelaïfi oppure al Manchester City dello sceicco Mansur bin Zayd Al Nahyan. La faccia da Peter Pan della Pulce nasconde la realtà di un cambiamento redicale di tutto il calcio mondiale. Il Covid, cui si dà oggi la colpa del tutto, ha in realtà soltanto fatto esplodere una situazione che era al limite della sostenibilità. Prova ne è che il Barcellona, che oggi è indebitato per 1,173 miliardi di euro, ha iniziato ad accumulare passività da lontano con acquisti fuori mercato (Coutinho 160 milioni, Dembélé 135, Griezmann 120), facendo segnare un -450 milioni in poche stagioni con il mercato di Bartomeu, succeduto nel 2014 a Rosell. Nonostante l’azionariato popolare e ricavi da top club mondiale.

Il crescendo è rossiniano: -18 milioni nel 20152016, -42 l’anno dopo, poi -168. Il calcio dei 12 top club promotori della Superlega ha 7,7 miliardi di debito: guida la classifica il Chelsea, che mette oggi sul tavolo 130 milioni per Lukaku, ma ne ha 1.510 di debito. Il Tottenham è secondo con 1.280, il Barcellona terzo. La fotografia di Deloitte è implacabile: a fronte di una detrazione di ricavi di 3,7 miliardi per il Covid, ovvero di una partita di ricavi dell’11%, i costi salariali nelle principali cinque leghe sono rimasti invariati. La forbice si è aperta a dismisura: o si cambia o si salta. Ed è quello che ha detto il presidente Laporta spiegando l’addio al giocatore simbolo del Barcellona che dominava il mondo con il suo calcio, il suo stile, il suo essere Més que un club: "Non voglio ipotecare il Barcellona per nessuno". Avrebbe dovuto farlo con i diritti tv, oggi unica cassaforte certa dei club, per i prossimi 50 anni. Non l’ha fatto aprendo le porte ufficialmente al calcio post-moderno. Ci sono momenti in cui i cambiamenti prendono un’accelerazione pazzesca: questo di Messi è l’innesco di una valanga. Gli altri club si adegueranno, tutti ad eccezione ovviamente delle società legate a fondi sovrani, che dribblano il fantomatico fair play finanziario, possono mettere a bilancio qualsiasi cifra e si arricchiscono dell’impoverimento generale.

Finisce l’era delle aste per i giocatori, dei contratti alle stelle, dei presidenti dei grandi investimenti e dei grandi trionfi, finisce l’era che in Italia aprì Silvio Berlusconi. Guarda caso, gli stessi che si opposero alla Superlega oggi raccolgono il dividendo di quel terremoto indotto: altro che "il calcio è dei tifosi", i super-ricchi saranno sempre più onnipotenti e sempre meno numerosi, via via cadranno le teste delle rivali costrette a combattere ad armi impari. Ieri Ramos e Donnarumma, oggi Messi, domani forse Lukaku, dopodomani Ronaldo e poi chissà. Il calcio di serie A e B c’è sempre stato: oggi la serie A rischia di essere a tre squadre.