Binotto paga per tutti

Leo Turrini

C’è qualcosa di vagamente deprimente, nelle convulsioni da dimissioni in salsa juventina e in salsa ferrarista. La contemporanea crisi di identità dei due gioielli dello sport nazionalpopolare, ecco, ha il sapore e il senso di un disagio che nulla e nessuno risparmia.

Se a Torino l’altero Andrea Agnelli ha fatto la fine di Icaro, che precipitò al suolo per avere osato avvicinarsi troppo al sole, un sole chiamato CR7, a Maranello siamo in presenza di un fenomeno ben diverso.

Mattia Binotto non ha dato le dimissioni per ragioni legate ai bilanci. Ha invece gettato la spugna perché, come avevo anticipato alcune settimane fa, si è reso conto di non godere della fiducia della proprietà. La stessa, appunto, della Vecchia Signora del pallone. Tu chiamale, se vuoi, coincidenze.

Voglio essere schietto, sull’argomento. Binotto paga anche colpe che sono sue. Si è esposto troppo a livello mediatico. Talvolta ha ceduto al delirio di onnipotenza in stile Jean Todt: ma il suo maestro francese poteva permettersi certe cose, avendo vinto tutto con Schumi e Montezemolo. Binotto no. E inoltre, per stare alle cose di pista, la catena di errori al muretto è stata imbarazzante, senza che si cogliesse l’indizio di una inversione di tendenza. Infine, non aver sanato i difetti di affidabilità del motore è stata una sconfitta anche psicologica, dopo quell’avvio stagionale strepitoso.

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