di Paolo Franci C’è sempre qualcosa, attorno a Matteo Berrettini, che somiglia un po’ a quell’adagio. Quello delle brave ragazze che vanno in paradiso mentre le cattive dappertutto. Perché più lo straordinario tennista azzurro compie imprese pazzesche e più si ha la scivolosa sensazione che non gli si renda il giusto tributo. Cioè, mai un italiano nella storia dela racchetta era riuscito a centrare i quarti in tutti e quattro gli Slam. Matteo lo ha fatto. E lo ha fatto contro un pericoloso coccodrillo della racchetta, quel Pablo Carreño Busta, numero 21 del ranking dal caratterino tosto e giocatore particolarmente esperto. E, come da copione, il match è stato duro, difficile, griffato con 28 ace del romano che hanno indirizzato il match - "così sono arrivato più fresco ai turni di risposta" ha detto Matteo - e chiuso in tre set 6-4, 7-6, 6-4. E non stiamo lì a srotolare i papiri delle imprese recenti, prima e dopo Winbledon. Però, diamine, se si va sul sito dell’Atp, accanto a una foto di Matteo ’The Hammer’ – soprannome azzeccato, il martello – con lo sguardo alla Clint Eastwood, c’è un numero ’7’ grosso così. Nulla a che vedere con Georgie Best, Ronaldo o Cantona perché quel 7 – ma a breve ci sarà un ’6’ grosso così con il sorpasso a Rublev – sta a significare che noi abbiamo un tennista sull’orlo della top five e non per un improvviso exploit. Anzi, Matteo è ormai da tempo nella ristretta cerchia degli dei della racchetta. Eppure... Forse sarà quel suo essere così misurato, educato, gentile nell’aspetto e nei modi. Forse sarà che fuori dal campo da tennis la sua vita è quella di un normale ragazzo di buona famiglia. Senza amorazzi a raffica con l’influencer di turno - è fidanzatissimo con l’australiana Alija Tomljanovic - ...
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