Bernal padrone di un Giro che perde l’epica

Il colombiano mette le mani sulla corsa: ma il taglio di Fedaia e Pordoi senza condizioni estreme è una scelta contro lo spettacolo

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di Angelo Costa

CORTINA (Belluno)

Anche con mezzo tappone a disposizione, perché l’altra metà lo cancellano i capricci di meteo e corridori, Egan Bernal fa un macello: nel prendere la sua seconda tappa al Giro, segna definitivamente la corsa, spedendo rivali veri e presunti a distanze siderali. "Volevo far spettacolo" è la semplice spiegazione. Chi meglio di tutti contiene i danni è il nostro Damiano Caruso, neppure partito per far classifica: molto meglio lui da capitano improvvisato di chi si era presentato al via con l’idea di poter arrivare in rosa a Milano. A Milano in rosa ci arriverà invece Bernal, a meno di sorprese clamorose: non si parla di rivali, ma di problemi che possono piovergli addosso, a cominciare dal famoso mal di schiena che sembra averlo accompagnato solo fino alla vigilia del Giro. Da campione vero, sulle Dolomiti non aspetta che siano gli altri ad infastidirlo, ma mostra ancora quale sia la sua dimensione: un gigante in mezzo ai nani. Non sbaglia nulla, dall’attacco sul Giau per guadagnarsi la cima Coppi alla picchiata sul bagnato verso Cortina, rendendo scoppiettante anche la versione mignon della tappa. Non sbaglia nemmeno la passerella sul traguardo, dove si toglie la mantellina per esibire la maglia che indossa e ribadire che il padrone è lui.

"Volevo fare qualcosa di speciale. Questo è il ciclismo che mi piace, corsa dura e freddo richiedono grinta: rischioso, ma ci credevo. Bello sentire che urlavano il nome di Pantani, è il solo ciclista di cui ho un’immagine a casa: è stato unico, sento qualcosa di particolare per lui perché siamo nati lo stesso giorno. Ho mostrato la maglia perché ci tenevo ad avere un bel ricordo", racconta Bernal dopo aver baciato la fidanzata Maria Fernanda sul traguardo, dove sono sempre più numerosi i colombiani che cantano e ballano in attesa del loro eroe.

Dietro questo Bernal con una marcia più di tutti resta solo la conta dei danni: Caruso a parte, gli altri hanno poco da stare allegri, perché il distacco in classifica lascia loro solo la speranza di lottare per il secondo posto. Tra quelli che affondano, oltre a Vlasov che corre ad handicap per via della mantellina finitagli nella ruota ai piedi del Giau ed Evenepoel evaporato subito, c’è soprattutto Simon Yates: non trova scuse, dice solo ‘giornata no’, risposta che fa onore a lui e lo rende al vincitore.

Meno onorevole che il Giro accorci il tappone poco prima del via, tagliando Fedaia e Pordoi. E’ la decisione che gli organizzatori prendono nel nome della sicurezza, dopo che i ciclisti hanno cominciato a mugugnare fin dalla sera prima, guardando le previsioni meteo e pensando ai discesoni con pioggia e nevischio: non sono condizioni estreme, eppure si sceglie di evitare rischi. Con tanti saluti all’epica del ciclismo e alle imprese memorabili di chi si dimostrava più forte non solo di tutti, ma anche di tutto. Meno bello il consueto rimpallo di colpe: i team dicono che avrebbero preferito la tappa originale, chi organizza parla di ‘confusione’ creata dai ciclisti. Non c’è controprova, ma il sospetto fondato è che a metter d’accordo tutti sia Bernal: si fosse corsa la tappa originale, a dar spettacolo sarebbe stato sempre lui.