Mercoledì 24 Aprile 2024

Balliamo sul mondo, è un’Italia da leggenda

Quarto titolo iridato per gli azzurri, mancava da 24 anni: De Giorgi li ha vinti tutti. Balaso e compagni più forti della bolgia polacca

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VOLLEY

di Doriano Rabotti

Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini vestiti d’azzurro cederà, ma non è questo il giorno. Quest’oggi festeggiamo, e anche se Fefè De Giorgi non ha il fisico di Aragorn nel Signore degli Anelli, suo è il regno mondiale del volley, per la quarta volta. La prima da maestro paterno di ragazzi speciali, che sanno ascoltare i consigli e poi metterli in pratica. Alla faccia di chi sostiene che i ragazzi di oggi non hanno fame e rispetto: oggi al Quirinale alle 12,45 incontreranno il presidente Mattarella, ormai un amico abituale, per ricevere il grazie del Paese.

Come si possa dominare il mondo con una banda di pirati che in alcuni casi hanno ricevuto più fiducia dalla nazionale che non dai club che li hanno cresciuti, è materia che lasciamo a quelli bravi, un discorso che si potrebbe anche allargare alla società. Ma non è questo il giorno.

Restando nel volley, l’impresa di Giannelli e dei suoi fratelli è qualcosa destinato a restare nella storia non solo di questo sport, perché nessuno puntava un euro su di loro alla vigilia, nemmeno in patria. E quindi questo quarto mondiale azzurro, inatteso quanto il primo di Velasco 32 anni fa, nel quale De Giorgi c’era in campo, è un miracolo sportivo che fa bene al cuore e conferma quanto si dice intorno ai giovani: faranno anche errori, ma spesso sono in grado di ripagare la fiducia, se gliela dai. A volte anche oltre, superano l’orizzonte dell’impossibile.

Ci sarà tempo per capire la grandezza anche individuale di Simone Giannelli, mvp del monidiale, un bolzanino predestinato che da quando aveva 19 anni scatena paragoni con i grandissimi; ci sarà modo di analizzare il fenomeno Michieletto, bresciano di Trento che a 20 anni in pratica gioca quasi ininterrottamente da una ventina di mesi, sempre in modo spaziale, sempre col sorriso; ci sarà l’opportunità di spiegare perché il calabrese Lavia per larghi tratti ci ha ricordato Lollo Bernardi per completezza; ci sarà spazio per lodare la concretezza dei muratori lombardo-trentini-siciliani Anzani, Galassi e Russo, che si sono alternati a tenere alta la diga in mezzo alla rete; ci sarà l’occasione di eternare l’uomo più basso con la maglietta diversa, il padovano Fabio Balaso, libero che ha giocato un mondiale pazzesco ed è il simbolo sportivo dell’Italia che non molla mai neanche quando arrivano botte da tutte le parti; ci sarà ancora l’opportunità di incensare il monzese Yuri Romanò, opposto titolare finora soltanto in nazionale, uno che sotto rete è un po’ come tanti nostri ragazzi che a forza di contratti a termine sperano un giorno di essere assunti, e intanto nel curriculum ha messo un Europeo e un mondiale. Ci sarà la chance di ringraziarli tutti di persona, questi ragazzi che oggi come un anno fa all’Europeo torneranno in Italia da Katowice con una medaglia pesantissima al collo, di quelle che cambiano la vita dei singoli e di un intero movimento.

Ma l’uomo a cui dobbiamo dire tutti un grazie gigantesco è Ferdinando De Giorgi: come Aragorn è stato ramingo, costretto a emigrare fino in Siberia prima di tornare in Italia e poi ha portato i giovani ad avere la fiducia necessaria per battere tutta la nazione polacca che spingeva la squadra come l’occhio di Sauron. Lo ha fatto usando parole normali, con la forza dell’educazione, costruendo col cemento della fiducia un grattacielo. E gli altri sotto, abbagliati da tanta grandezza.