Tour de France 2020, le pagelle finali di Angelo Costa

Dieci e lode a Pogacar, che manca solo la maglia verde

Tadej Pogacar, vincitore nel 2020

Tadej Pogacar, vincitore nel 2020

Parigi, 21 settembre 2020 - Il Tour de France 2020 ha incoronato Tadej Pogacar, 22 anni oggi, il secondo vincitore più giovane di sempre della Grande Boucle. Un successo riconosciuto anche dal grande sconfitto Primoz Roglic, che ha visto sfumare nella penultima tappa i sogni di gloria. Al fenomeno Pogacar è sfuggita solo la maglia verde, che è andata a Sam Bennett.

I voti finali di Angelo Costa

10 e lode a Pogacar

Da debuttante affronta i grandi giri come se ne avesse già corsi cento: due podi in due grandi giri, terzo alla Vuelta e primo al Tour, più le vittorie di tappa (tre in entrambi i casi) e le altre maglie. Un piccolo cannibale che corre a sensazioni e senza far calcoli, che si diverte e diverte, perché ribaltando il Tour con gambe e cuore dimostra che nel ciclismo il più forte può ancora vincere da solo.

10 al Tour

Covid o meno, regala tre settimane di spettacolo, con tappe ad alta velocità e grandi protagonisti, oltre al colpo di scena finale. E’ il risultato dell’elevata qualità di una corsa nella quale vincitori di grandi classiche o di mondiali devono fare i gregari, dove la composizione delle fughe assomiglia agli albi d’oro e dove il pluriridato Sagan non riesce a vincere perché ne trova uno sempre più veloce di lui.

9 a Roglic

Per quanto se lo veda sfilare all’ultimo assalto, il suo resta un grande Tour. Ha gambe ottime, sicurezza in sé stesso, la protezione di una squadra dove i compagni sono perfetti e l’organizzazione è di altissimo livello. L’unico punto debole sembra averlo laddove conta di più, la testa: quando è l’ora di completare l’opera, la pressione lo manda in tilt. E da ex saltatore con gli sci, salta.   

9 a Van Aert

Si ripresenta sul luogo del delitto, quel Tour dove un anno fa una caduta ha rischiato di fargli chiudere la carriera. Già simbolo della ripartenza del ciclismo con i successi a Strade Bianche e Sanremo, si cala nei panni di skilift di Roglic, infliggendo un ritmo infernale che spegne le illusioni dei rivali del suo leader. Presto lo userà per mettersi in proprio e puntare a un grande giro.

8 a Porte

La vera impresa è restare in piedi, dopo anni di ritiri per una caduta o per disgrazie varie: il podio è soltanto la conseguenza. Finalmente dimostra di saper andare al passo dei migliori, correndo senza sprecare energie, sfruttando l’appoggio dei compagni, ma mettendoci anche molto di suo. Merita di sfilare a Parigi solo per non aver ceduto ai colpi bassi ricevuti in passato della sorte.

8 alla Sunweb

A parte il Dream Team della Jumbo, è la squadra che corre meglio: con tanti giovani di talento, ci mette coraggio e strategia e il risultato sono tre tappe vinte, una con Hirschi e due con Andersen, sempre con azioni da lontano, sempre con un disegno tattico perfetto. A conferma che si può fare un buon Tour anche senza un leader per la classifica.

8 a Bennett

Si prende la classifica a punti, lasciando al verde l’ex compagno Sagan (voto 6 per aver lottato fino all’ultimo), che voleva l’ottava maglia in nove partecipazioni, e un generoso Trentin (6). Per riuscirci a trent’anni, l’irlandese non molla un crostino: sprinta su tutti i traguardi, stoppa i rivali e li rincorre. Va fino in fondo, regalandosi la ciliegina del successo sui Campi Elisi: chapeau. 

7,5 a Caruso

Ha il ruolo di guardaspalle di Landa, ma pur restando nell’ombra riesce a far classifica. Conclude al decimo posto, risultato che ha un valore importante vista la modesta spedizione italiana. E’ anche uno dei nostri corridori più trascurati, un po’ come Nizzolo, di quelli che devono fare un risultato speciale per far parlar di sé, quando invece a lui per essere speciale basta fare l’ordinario.

6 a Carapaz

Proiettato in Francia dopo la bocciatura dei veterani Froome e Thomas, comincia subito in salita per via di una caduta. Barcolla ma non molla, andando all’attacco per tre giorni in fila, vestendo per un giorno la maglia a pois e regalando anche il memorabile finale di tappa abbracciato al compagno Kwiatkowski dopo la fuga in coppia. Venuto per studiare, fa un corso accelerato per capire come si fa.

6 a Alaphilippe

Sapeva di non essere il Loulou dell’anno scorso, rimasto a lungo in giallo e a segno in più tappe. Ma recita come se lo fosse: conquista una tappa alla sua maniera prendendo anche la maglia, poi persa per aver preso una borraccia dove non poteva, va all’attacco più volte nei giorni successivi, senza trovare la forza di arrivare fino in fondo. Prova a regalare spettacolo sempre, ma stavolta il moschettiere ha la spada spuntata. 

5,5 a Lopez

Impeccabile per un paio di settimane, nelle quali evita di sprecarsi in attacchi inutili, il colombiano recita alla sua maniera nell’unica occasione in cui la corsa sale oltre i duemila metri. Guadagna la tappa, mette da parte una dote che con maggior coraggio avrebbe potuto anche esser superiore, poi dà un calcio al secchio nella crono, dove pedala come se sulla bici avesse il peso del podio, compreso chi lo occupa. 

5,5 a Landa

Correre da leader come desiderava non cambia il risultato: si ferma ai piedi del podio, come gli era già capitato in Francia e pure al Giro, dove ha colto l’unico buon piazzamento (terzo nel 2015). Meglio quarto che ventesimo, si dirà, ma dal basco che ha avuto a disposizione un’intera squadra, con ottimi aiutanti come Caruso e Bilbao e un tuttofare come Colbrelli, ci si aspettava più dell’annuncio di un attacco mai arrivato.

4 a Bernal

Scende dalla giostra dopo due settimane, senza esservi mai salito. Sia vittima del mal di schiena o di vicende personali, resta il fatto che viene soffocato dall’alta velocità del trenino Jumbo. Non è il vero Bernal, e nemmeno gli somiglia troppo: di tanti che soffrono il calendario ristretto, lui è tra quelli. Lascia da gran signore, col sorriso sulle labbra, sapendo di esser giovane e avere tutto il tempo per rifarsi.

3 all'Italia

Non è fortunata: prima di metà Tour perde Nizzolo (guai al ginocchio), Formolo (clavicola fratturata) e Pozzovivo (caduta alla prima tappa provocata da uno spettatore). Perde anche Aru, ma questa è un’altra storia. Non è nemmeno da corsa, però: Viviani delude in volata, Colbrelli è impegnato a lavorare per i compagni, degli altri non c’è traccia in fuga, a parte Trentin per i punti. Messi così, il decimo posto di Caruso è fin troppa grazia.

3 a Quintana

Del Nairo visto prima della quarantena si perdono subito le tracce: poche tappe e il colombiano che era sembrato a tutti più reattivo, sicuro di sé e perfino spavaldo, torna ad essere l’opaco corridore visto negli ultimi anni, complice forse un incidente in allenamento. Vorrebbe dimostrarsi tra i più veloci in salita: purtroppo, lo è solo nello spegnersi.

2 a Pinot

E’ l’uomo su cui la Francia punta per interrompere un tabù che dura da 35 anni: è il primo dei francesi a uscire di scena. Lo fermano i dolori alla schiena, che lo tolgono dalla classifica già alla prima settimana. Gli fa onore concludere la corsa a dispetto dei malanni, gli rende merito l’onestà con cui ammette che il suo rapporto con il Tour, per un motivo o per l’altro, è segnato più da sconfitte che da soddisfazioni.

1 a Van Garderen

Miglior giovane al Tour 2012, due volte quinto in Francia, grande speranza d’America per anni, chiude novantesimo a oltre 4 ore da Pogacar. A forza di aspettare che la promessa diventi realtà, gli anni passano: i suoi sono già trentadue. Mai dentro un fuga, segnalato al massimo per un guaio meccanico, è l’uomo ombra di questo Tour, nel senso che non si vede mai: la vera notizia è che fosse in gara.

0 al pubblico

Tanta gente sulle salite, anzi troppa, come se il Covid non fosse un pericolo che ogni giorno in Francia fa decollare i contagi oltre quota diecimila. Serviva maggior controllo di quanto non si sia visto nelle immagini tv diffuse per il mondo: sui Pirenei come a La Planche des Belles Filles, si è visto di tutto, compresi gli scemi vestiti da Teletubbies e Veloceraptor che andrebbero espulsi a prescindere dal virus.