C'era una volta la boxe (che il Cio pensa di escludere dalle Olimpiadi)

Il pugilato rischia di non essere tra le discipline a Los Angeles 2028

Emile Griffith e Nino Benvenuti

Emile Griffith e Nino Benvenuti

Modena, 10 dicembre 2021 - Fuori i secondi. C’era una volta la  boxe: il Cio sta pensando di escludere il pugilato dal programma della Olimpiade. Dal 2028, edizione già assegnata alla città di Los Angeles.

Fuori i secondi. La dolorosa ipotesi è figlia di antichi sospetti sulla corruzione dei giudici e di legittime perplessità sulla integrità dei personaggi che governano a livello planetario le sfide sul ring. Ma il discorso è un altro.

C’era una volta la boxe. La Nobile Arte che non a caso ha ispirato leggendarie saghe cinematografiche (pensate a Rocky Balboa!) e squarci di altissima letteratura. Perché il pugilato sarà anche politicamente scorretto (che barba e che noia, avrebbe detto Sandra Mondaini a Raimondo Vianello), eppure è cronaca di vita, è scuola di sofferenza, è trasmissione di emozioni.

Insomma, non è poi remotissimo il tempo in cui i papà dell’Italia del Boom puntavano la sveglia per destarsi nel cuore della notte. Non volevano e non potevano perdersi la diretta radiofonica del match al Madison Square Garden, in palio il titolo mondiale dei pesi medi, tra Emile Griffith e il nostro Nino Benvenuti, azzurro dell’Istria ferita.

Già, Benvenuti. Un simbolo di una nazione. Eroe patriottico, oro olimpico nei welter alla Olimpiade di Roma del 1960, prima di diventare professionista al top. Mi ha detto Nino: “Io proprio non riesco ad immaginare il pugilato fuori dai Giochi, sarebbe una offesa alla Storia”.

La Storia. Di cazzotti e non solo, perché la boxe non merita di essere ridotta a semplice rissa tra violenti. Non è così, anzi, sicuramente non è mai stata solo quello.

Ce lo insegna l’avventura agonistica e umana di Muhammad Ali. Si chiamava ancora Cassius Clay quando, sempre in quella mitica Olimpiade romana, unì il nome che non amava all’elenco delle medaglie d’oro.

Può essere un caso, ma non lo credo, che dai sudori e dalle angosce del quadrato sia uscito il grande protagonista del Novecento. Lui, Ali. Coraggioso al punto di sfidare una America bigotta pur di proclamare che la guerra nel Vietnam era una schifezza. Gli tolsero tutto perché la verità dà sempre fastidio. Eppure non mollò: si appoggiò alle corde come avrebbe fatto a Kinshasa nel leggendario combattimento contro George Foreman. E vinse. Contro il Sistema. E ovviamente anche contro Foreman.

Ecco, c’è dentro anche tutto questo, nella malinconia che accoglie la minaccia del Cio. Perché ci alzavamo nel cuore della notte non soltanto per le radiocronache dei match di Benvenuti, ma anche per accendere la televisione e vedere in bianco e nero il confronto persino esistenziale tra il solito Ali e il nemico Joe Frazier. Sullo sfondo, la voce rauca di Paolo Rosi, innegabilmente il marchio sonoro Rai per gli eventi che segnavano un’epoca (“Cova-Cova-Cova!!!”).

Domanda: può finire tutto questo, con un tratto di penna? Può il pugilato essere cancellato dal cartellone di una Olimpiade mentre il giovanilismo esasperato del politicamente corretto porta sul podio dei Giochi, udite udite e con tutto il rispetto, lo skateboard, l’arrampicata e addirittura già da Parigi 2024 la break dance?!?

Ha un senso tutto questo? Temo di no. Nemmeno ha senso che su DAZN ti chiedano di dimostrare che hai già compiuto diciotto anni, se vuoi vedere un incontro di pugilato. Mentre le nefandezze di qualunque talk show di qualunque emittente, a qualunque ora, sono libere di ammorbare il cervello delle plebi.

L’estate scorsa, alla Olimpiade di Tokyo, una giovane donna italiana, Irma Testa, ha conquistato una storica medaglia di bronzo nel pugilato femminile.

Possibile le si voglia negare a tavolino la chance di vincere l’oro come Nino Benvenuti e Muhammad Ali?