Martedì 23 Aprile 2024

Morto Vittorio Adorni, mito del ciclismo. Quella fuga infinita nel Mondiale di Imola

Si ritagliò un ruolo da protagonista nell'era dei 'giganti' Merckx e Gimondi. L'omaggio della figlia di Felice: "Ciao Vittorio, salutami papà"

Vittorio Adorni e, sulla sinistra, il campione sul traguardo di Imola

Vittorio Adorni e, sulla sinistra, il campione sul traguardo di Imola

Roma, 24 dicembre 2022 - È morto Vittorio Adorni, ex campione di ciclismo. A dare la triste notizia Norma Gimondi, figlia di Felice, con un post su Facebook: ''Ciao Vittorio, salutami papà'', ha scritto. Adorni aveva 85 anni, era nato a San Lazzaro Parmense il 14 novembre 1937. Corridore versatile, sia per le corse di un giorno, sia per i grandi giri, è ricordato soprattutto per aver vinto il campionato del Mondo del 1968 a Imola e per essere entrato nell'albo d'oro del Giro d'Italia come trionfatore nel 1965. Passato professionista nel 1961, a non ancora 24 anni, Adorni approdò alla Salvarani nel 1964, team con il quale vinse il Giro l'anno seguente davanti a Italo Zilioli e Felice Gimondi. E proprio Gimondi, suo compagno di squadra, nello stesso anno trionfò al Tour de France, regalando alla Salvarani un'annata memorabile.

Adorni è stato protagonista di anni in un cui il ciclismo viveva di leggende come Eddy Merckx e Felice Gimondi. È riuscito a ritagliarsi uno spazio tra i giganti, mettendo in bacheca 60 vittorie tra i pro, tra cui 11 successi di tappa al Giro d'Italia, tra cronometro e frazioni in linea. È salito sul podio della Corsa Rosa anche nel 1963 e nel 1968.

Nel suo palmarés pure una Bernocchi nel 1967 e diverse frazioni al giro di Romandia.  Tra i piazzamenti più importanti ci sono tre podi consecutivi alla Liegi-Bastogne-Liegi (tra il 1963 e il 1965) e la seconda piazza alla Milano-Sanremo nel 1965 e al mondiale di Sallanches, nel 1964. Il corridore emiliano appese la bicicletta al chiodo nel 1970, dopo quasi 10 anni di carriera. Non abbandonò però il ciclismo, lavorando come dirigente nella stessa Salvarani e per la Bianchi. 

Spigliato e diretto, divenne anche un personaggio televisivo: ospite fisso del Processo alla Tappa di Zavoli nel '65, anno in cui vinse il Giro, fu chiamato nel 1968 a condurre il telequiz 'Ciao mamma' insieme a Liliana Orfei, su Rai Due. La sua proprietà di linguaggio e la sua capacità di analisi erano rinomate tanto che dopo la fine della carriera sportiva Adorni proseguì come commentatore. Subito dopo la notizia della sua scomparsa, è giunto il messaggio del presidente della Federazione ciclistica italiana (Fci), Cordiano Dagnoni, che ha espresso "a nome di tutto il mondo del ciclismo i sensi del più profondo cordoglio alla famiglia".

Il Mondiale di Imola del 1968

Vittorio Adorni viene ricordato soprattutto per la fuga infinita al Mondiale di Imola del 1968. Parte insieme a un gruppetto di sei corridori per raggiungere il connazionale Lino Carletto, scattato in avanscoperta. Sono trascorsi circa 50 chilometri di corsa, all'arrivo ne mancano più di 200. Il plotoncino si assottiglia man mano, a 150 dal traguardo rimangono in quattro: il belga Van Looy, il portoghese Agostinho e i due azzurri. Dietro i francesi non tirano, Eddy Merckx e il suo Belgio non potevano addossarsi il peso dell'inseguimento, anche perché davanti c'è Van Looy. Qualche cambio nel gruppo principale lo dà proprio la nazionale italiana, forse poco fiduciosa nella riuscita di una fuga così ardita.

Poi la lucida follia: a 80 chilometri dalla fine Adorni molla la compagnia e resta da solo. Arrivare in volata con Van Looy equivale a una sconfitta praticamente certa. È l'inizio della cavalcata trionfale del ciclista azzurro che giunge a Imola con 9'50" su Herman Van Springel e 10'18" su Michele Dancelli. A tifare  Adorni ci sono 120mila spettatori paganti, anche se i numeri ufficiosi sembrano indicarne almeno il doppio lungo tutto il circuito. "È stata la più bella pazzia della mia carriera. Volevo dimostrare di essere ancora un corridore vero", dirà Adorni tra le lacrime, con la maglia iridata addosso. Una fuga infinita che, a distanza di 54 anni, resta tra le imprese più belle nella storia del ciclismo.