Mercoledì 24 Aprile 2024

Tour de France 2018, le pagelle finali di Angelo Costa

Vince il britannico Thomas, ma non è l'unico a essere promosso a pieni voti per questa Grande Boucle. Ci sono però anche diversi bocciati Tour de France 2018, classifica finale e risultati dell'ultima tappa

Geraint Thomas, vincitore del Tour de France 2018

Geraint Thomas, vincitore del Tour de France 2018

Parigi, 29 luglio 2018 - Il Tour de France 2018 si chiude con la vittoria di Alexander Kristoff nell'ultima tappa, ma a trionfare sotto l'Arco di Trionfo, a Parigi, è Geraint Thomas. Il britannico del team Sky non è però il solo promosso di questa edizione numero 105 della Grande Boucle. Ecco dunque le pagelle dei protagonisti (nel bene e nel male) con qualche sonora bocciatura proprio al Tour stesso.

10 e lode a Thomas. Mai nei primi dieci di una grande corsa a tappe, entra in un albo d’oro dalla porta principale. Dentro questo trionfo ci sono anni di servizio agli ordini di Wiggins e Froome, tanta sfortuna (le cadute a Giro e Tour un anno fa), ma soprattutto una condotta di gara perfetta, perché non spreca nulla. Un vero killer che non sbuca all’improvviso, visto che nell’armadio ha un paio di titoli olimpici e tre mondiali in pista: prometteva un exploit da tempo, finalmente mantiene la parola.

9 a Dumoulin. Corre sempre davanti, va persino all’attacco e alla fine è il più vicino di tutti al trono Sky: non fosse per quella maledetta foratura al muro di Bretagna che glicosta anche la penalità per scia quando tenta di rientrare dietro l’ammiraglia, arriverebbe alla crono finale in altre condizioni. Per quanto si batta anche meglio di tanti altri, mai dà l’impressione di poter ribaltare Thomas: secondo al Giro e al Tour, alla fine è quello che più di tutti accarezza la doppietta.

9 a Sagan. Conquista tre tappe, altrettante le sfiora, eguaglia il record di successi nella classifica a punti (sei, come Zabel che li centrò in fila) dopo esser diventato il corridore che ha vestito la maglia verde per più giorni. A far passare in secondo piano i numeri, però, è la forza con cui, in un Tour difficile a livello personale (a metà corsa annuncia la separazione dalla moglie), l’iridato si ribella alle botte di una caduta: amatissimo dai tifosi per ciò che fa in bici, riesce a farsi amare di più.

8,5 a Froome. Si presenta in Francia con l’etichetta di sgradito, cade il primo giorno e ci rimette un minuto, corre per tre settimane fra fischi e buu di disapprovazione quando gli va bene, prendendo gavettoni e rischiando cazzotti quando gli va peggio. E quando capisce che il compagno Thomas è troppo forte anche per lui si inchina e applaude: ‘Non avevo gambe buone: di Tour ne ho vinti quattro, non si può sempre arrivare davanti a tutti’, dice. Chapeau.

8  a Nibali. Persa un’Olimpiade per uno scivolone in discesa, ci rimette un Tour per colpa della tracolla di uno spettatore: la sua collezione di sventure comincia purtroppo ad arricchirsi. Resta il rimpianto di cosa avrebbe potuto fare in questo Tour a cominciare proprio dal giorno dell’Alpe d’Huez, dova stava mandando segnali di salute. Nè lo consolerà sapere che dal 2012, anno in cui è iniziata la dittatura Sky in Francia, è stato l’unico ad interromperla.

8 a Craddock. Cade il primo giorno per colpa di una spettatrice, arriva al traguardo sanguinante in volto, all’ospedale gli diagnosticano la frattura della scapola e lui dice: ‘Non mi fermo. Anzi: verserò cento dollari al velodromo della mia città nel Texas per ogni tappa che concludo’. Arrivando a Parigi il conto è di duemila dollari: in tempi di Mondiali di calcio e di simulatori diventa immediatamente un simbolo, perché uno così spiega la differenza fra uno sport vero e un gioco.

7 ad Alaphilippe. Non amatissimo dai connazionali per aver scelto un team straniero, li conquista con una condotta di gara garibaldina: correndo sempre all’attacco, vince la prima tappa alpina a Le Grand Bornand, la prima tappa pirenaica a Bagneres de Luchon, si prende la maglia a pois e la difende ogni volta che può. Da buon francese, ha il difetto di indugiare alla teatralità delle smorfie, da specialista di classiche ha il pregio di rendersi protagonista anche in una corsa a tappe.

6 a Colbrelli. Della ristretta pattuglia italiana (13 al via, mai così pochi da trent’anni), è quello che più di tutti va vicino al successo di tappa: due volte secondo, si arrende in entrambi i casi a Sagan, basta la parola. Ha il merito di riuscirci senza avere un treno che lo accompagna e dopo aver lavorato per il suo capitano Nibali. Arriva a Parigi a dispetto della caduta alla Rubè provocata da Van Garderen e dopo essersi preso lo spray al peperoncino dai gendarmi: premio Paperino.

5 a Bardet. L’uomo al quale la Francia ha consegnato la speranza di vincere il Tour dopo 33 anni si fa notare nella tappa meno adatta: sulle pietre della Rubè, fra forature e cambi di bici, si ferma cinque volte, ma contiene il ritardo in una manciata di secondi. Sembra il preludio ad un cammino vincente su Alpi e Pirenei, invece non c’è salita dove lasci il segno: ci prova più di una volta, ma non è mai giornata. Nè è l’anno buono per i francesi: chissà quando lo sarà.  

5 a Quintana. Riappare all’improvviso sui Pirenei e, come felicemente scritto dal maestro Gianni Mura, è come se un fossile si risvegliasse. Si nota in due tappe: quella del Col du Portet la vince attaccando da lontano, senza che il gruppo si danni troppo l’anima per riportarlo in gregge, quella di Pau, il giorno dopo, lo segna definitivamente, perché finisce in un groviglio lungo la pianura. Due indizi, ma c’è anche la prova: per poter vincere un Tour, prima o poi dovrà provare a farlo davvero.

4 a Majka, Mollema, Adam Yates, Zakarin, Fuglsang. Compaiono nel cartellone della partenza alla voce possibili outsider: chi prima, chi più tardi, regolarmente si inabissano, cambiando la traiettoria del loro Tour con la vana ricerca di un successo di tappa, magari attraverso una fuga da lontano. E’ un gioco che, per alcuni di loro, si ripete ormai da anni, ma forse non è il caso di prendersela con i diretti interessati: i veri colpevoli sono coloro che continuano a pronosticarli.

3 al Tour. Inteso come corsa. Troppo blindata, perché Sky come da consolidata abitudine impone un ritmo infernale che soffoca gli attacchi e rosola i rivali. Troppo prevedibile, perché nelle tappe di pianura la fuga puntualmente decolla nei primi chilometri, puntualmente con le squadre invitate, e puntualmente viene ripresa poco prima del traguardo. Troppo scontata in salita, con i soliti noti fuori classifica ad allungare regolarmente il passo. In una parola, troppo noiosa.

2 al Var. Vede Dumoulin, un olandese, che in mondovisione resta in scia all’ammiraglia e lo castiga, non vede Bardet, un francese, che in mondovisione resta in scia all’ammiraglia e lo perdona. Vede Moscon, un italiano, che in mondovisione alza le mani verso un avversario e lo spedisce a casa, vede Offredo, un francese, che in mondovisione tira la borraccia ad un avversario e si limita a multarlo. Non sarà che c’è un occhio di riguardo per chi pedala in casa?

2 allo studio Rai. Le voci di Pancani e Martinello bastano da sole a tenere in piedi la diretta per come raccontano la corsa e pure per come riescono a sopportarla nei lunghi pomeriggi da sbadiglio. Inutile, invece, ciò che viene proposto prima e dopo la diretta: chiacchiere e commenti di cui si farebbe volentieri a meno. Curiosa la scelta degli ospiti: se Simoni commenta una tappa di pianura e Viviani racconta il tappone dei Pirenei, qualcosa non funziona. 

1 a Kittel. Al primo sprint si piazza sul podio, al secondo lo sfiora, poi si fa di nebbia. Non è una questione di cattiva forma, ma di scelta: mentre gli altri vanno a fare la volata, lui guarda altrove. Svagato e distratto, non lo è soltanto in corsa: a sentire i suoi tecnici, durante le riunioni, anziché ascoltare, lui guarda il cellulare. Chiude mestamente a metà Tour, andando fuori tempo massimo, lasciando dietro di sé un dubbio: forse il miglior Kittel è stato quello degli spot in tv.

0 al Tour. Inteso come organizzazione. Resta la prima al mondo, ma a volte si dimentica che c’è anche una corsa. Ad esempio sull’Alpe d’Huez, dove i gendarmi lasciano fare i tifosi scatenati e ci rimette Nibali. Oppure a Carcassonne, dove la protesta dei contadini ferma la tappa e i gendarmi centrano anche i ciclisti con lo spray al peperoncino. O al Col du Portet, dove un gendarme scambia per un tifoso Froome di rientro al bus e lo butta in terra. Gendarmi come Sky: incontenibili.