Vuelta 2019, pagellone finale. Roglic imbattibile, Valverde senza limiti

Lo sloveno chiude la pratica nella crono e si difende alla grande, l'iridato più forte anche dell'età. Pogacar si consacra, l'Italia non pervenuta

Valverde e Roglic (Ansa)

Valverde e Roglic (Ansa)

Madrid, 15 settembre 2019 - Fabio Jakobsen ha vinto in volata la 21esima, e ultima, tappa della Vuelta 2019, la passerella da Fuenlabrada a Madrid, di 106,6 chilometri. Avvivo allo sprint nel finale del facile percorso, completamente pianeggiante, che nella sua seconda metà si sviluppa all'interno del circuito cittadino della capitale iberica. Gruppo a ranghi compatti, e il velocista della Deceuninck-Quick Step scatta con uno sprint perfetto per un successo prestigioso, il secondo, nella frazione conclusiva del Giro di Spagna.

Primoz Roglic ha ufficialmente vinto la Vuelta. Il corridore sloveno, capitano del team Jumbo-Visma, è al primo trionfo in una classica a tappe.

 

Le pagelle finali di Angelo Costa

 

10 a Roglic

Si fa bastare la crono individuale, perché in quella di gruppo gli ruzzola in terra la squadra. Il resto lo fa difendendosi alla grande in montagna, dove mostra sicurezza e lucidità, dosando bene le energie senza sprecare una pedalata. Primo sloveno a vincere un grande giro, completa l’anno delle prime volte nel ciclismo e una stagione strepitosa per lui, terzo al Giro e primo in tutte le altre gare a tappe disputate.

 

10 a Pogacar

Tre tappe di montagna, la maglia bianca dei giovani, il terzo posto in classifica: per essere al debutto nei grandi giri non se la cava male lo sloveno scoperto da Beppe Saronni. Non impressiona per i risultati, ma per come li ottiene: forte di gambe e solido di testa, in corsa dimostra ben più dei ventun anni che compirà sabato prossimo. Per capire che sia un predestinato non servono altri indizi.

 

9 a Valverde

Arriva a fari spenti, quasi snobbato da chi nel pronostico infila di tutto, compreso il nostro Aru. Ma anche a 39 anni dimostra di essere da corsa, vincendo una tappa e facendo classifica dal primo all’ultimo giorno. In tre settimane dà battaglia ogni volta che può, senza l’acuto irresistibile, ma senza nemmeno mostrare cedimenti: rispetto a tanti presunte star, dimostra cosa significhi esserlo davvero.

 

9 alla Deceuninck

Si presenta senza un uomo per la classifica e correndo alla giornata finisce per vincere più di tutti: cinque tappe, con tre corridori diversi, sono il frutto di una condotta di gara diventata un marchio di fabbrica, che ha già fruttato oltre sessanta successi in stagione. E’ l’unica formazione che in una tappa riesce a mandare in fuga sette corridori su otto: tanto per ribadire cosa significhi gioco di squadra.

 

8 a Bennett

Due successi di tappa, con due modi diversi di interpretare lo sprint, un terzo centro sfiorato sulla rampa di Toledo e nel cuore di Madrid: nel reparto velocità, fa la parte del leone. Lo dice anche il ruolino di marcia di una stagione in cui ha vinto più di tutti, tanto da convincere i suoi dirigenti a offrirgli quel rinnovo di contratto che ancora gli mancava: veloce lui, decisamente più lento il suo team.

 

8 a Gilbert

Voleva una tappa, ne conquista due, compresa quella che passerà alla storia come la più veloce, 219 chilometri alla folle media di 50,628, aggiornando a 11 il conto dei successi nei grandi giri. Al signore delle classiche, a dispetto dei 37 anni, non passa certo la voglia di fare ciò che più gli piace: vincere. E se lo fa con questa disinvoltura alla Vuelta, meglio tenerlo d’occhio al Mondiale.

 

7 ai giovani

Non solo Pogacar: l’ultima generazione mostra molti volti freschi. I vari Cavagna, Higuita, Jakobsen (due volte) e Kuss, tutti nella fascia d’età fra i 22 e i 25 anni, si prendono il loro giorno di gloria, mettendo la testa fuori dalla cesta, chi con una fuga da lontano e chi in volata. Sono francesi, colombiani, olandesi e americani, purtroppo nessun italiano: prima dovremo ritrovare la cesta.

 

7 a Hagen

Chiude all’ottavo posto il suo primo grande giro, lui che ad alto livello si è affacciato soltanto quest’anno. Arriva da altri sport, l’atletica prima e lo sci di fondo poi, pedala da tre anni e fin qui ha gareggiato solo con formazioni di secondo piano. Corre sempre nell’ombra, non azzardando nulla, come se volesse capire quali siano i suoi limiti: intanto fa capire di esser uno capace di star davanti.

 

6 a Majka

Sesto come al Giro, per la sesta volta chiude un grande giro nei primi dieci: inevitabile che sia sei il voto per un atleta al quale sembra mancare un gradino per arrivare nella fascia dei migliori, ma quel gradino regolarmente non lo sale mai. Affidabilissimo, regolarissimo, presentissimo nelle tappe che contano, è il fuoriclasse della normalità: subito dietro i più forti, puntualmente c’è lui.

 

5 alla Vuelta

Mutilata in partenza di molte grandi firme (Froome, Thomas, Simon Yates, Nibali e all’ultimo Carapaz), persi quasi subito per strada Kruijswijk e Uran, a tratti è così monotona da far concorrenza ai gran premi di formula uno: sempre il solito tran tran, fuga da lontano e i big dietro a guardare. Forse il modello spagnolo, tappe brevi e tante salite, più che logorare alla fine si rivela un po’ logoro.

 

5 a Quintana

E’ l’uomo della domenica: nelle prime due, vince una tappa, l’altra la sfiora e in entrambi i casi veste la maglia rossa. Non è l’uomo della seconda settimana: comincia a imbarcare ritardo nella crono e prosegue nel weekend. Recupera infilandosi nella fuga della tappa a velocità record, ma non illude nessuno: all’Aquila di un tempo non fa più bene la montagna, forse c’è bisogno di mare.

 

4 a Lopez

Fatica a sintonizzarsi col suo ruolo di favorito fin dal via: per tre volte, prende la maglia rossa di leader e la cede l’indomani. Pagato il pedaggio della crono, è chiamato al riscatto in montagna: come non detto, non c’è giornata in cui riesca a lasciare il segno. Quando lo fa è per le cadute (tante) o per le parole (troppe): settimo al Giro e quinto alla Vuelta, non è proprio una stagione da Superman.  

4 all’Italia

Zero vittorie, nessun podio di tappa, il primo classifica a distanza siderale dalla vetta (Brambilla, 42esimo a due ore e un quarto), il crollo e il successivo ritiro di Aru: mai come in questo caso, i numeri spiegano abbastanza. Presentarsi con tredici atleti al via non ha portato benissimo alla spedizione azzurra: non avevamo il meglio, ma peggio di così…  

4 a Aru

Entra dalla porta sbagliata, facendosi male nella caduta alla cronosquadre. Ma anche con questa giustificazione finisce per spegnersi presto, incapace di tener le ruote di oltre una ventina di corridori in salita. A sentire i medici della squadra la colpa è di un virus, così come un anno fa il suo rendimento limitato era dovuto al problema dell’arteria iliaca: per evitare altri problemi, chissà che non basti star lontano dalla Spagna.  

3 a Madrazo

E’ l’eroe della prima settimana: va in fuga tutti i giorni, conquista la maglia a pois di miglior scalatore, ma soprattutto vince una tappa dopo essersi staccato dai compagni di fuga almeno dieci volte. Nell’occasione confessa che il suo grande sogno è comprarsi la Playstation, in offerta ai grandi magazzini: appena la Sony gliene regala una, sparisce dalla corsa. Dal reale al virtuale è un attimo.  

2 al ds della Burgos

Sale alla ribalta nella tappa che la sua squadra conquista proprio con Madrazo. A una ventina di chilometri dal traguardo, in un tratto di salita, il tecnico si distrae e con l’ammiraglia tampona il proprio atleta, rischiando di spedire nel fosso anche i due che sono in fuga con lui. Sia stata una svista, come dice lui, o un’intimidazione, come sospettano in tanti, si rivela la più efficace delle tattiche.