Tour de France 2021: le pagelle finali di Angelo Costa

Voto 100 a Pogacar: un extraterrestre piovuto sul ciclismo, beati noi che possiamo goderci il Merckx dell’era moderna

Tadej Pogacar sul podio di Parigi (Ansa)

Tadej Pogacar sul podio di Parigi (Ansa)

Parigi, 19 luglio 2021 - Tadej Pogacar ha vinto da dominatore il Tour de France 2021. Per lui anche la maglia a pois di miglior scalatore e, ovviamente, quella bianca di miglior giovane. Sul podio di Parigi con lo sloveno anche Jonas Vingegaard e Richard Carapaz. La maglia verde è andata a Mark Cavendish. Ecco, di seguito, i voti del Tour de France di Angelo Costa. 

100 a Pogacar. Gli basta la prima settimana per vincere il secondo Tour a 22 anni, le altre due gli servono per divertirsi e dare spettacolo sui Pirenei, dove conquista le due vette più importanti in maglia gialla, come fanno i grandissimi. C’è poco da aggiungere su questo extraterrestre piovuto sul ciclismo, beati noi che possiamo goderci il Merckx dell’era moderna.

9 a Vingegaard. Non solo Pogacar: nella categoria degli impertinenti c’è anche questo danesino, rivelatosi in marzo sulle strade romagnole della Coppi e Bartali. Arruolato al Tour come aiutante di Roglic, ha preso forza e coraggio man mano che il suo squadrone ha perso i pezzi: ha passo, coraggio, acume tattico, tutto quanto serve per non correr più da gregario ma da leader vero.

9 a Van Aert. Tra i fenomeni in circolazione, anche lui non scherza: vince una tappa prestigiosa come quella del doppio Ventoux, vince la cronometro conclusiva a 51 e mezzo di media, poi vince allo sprint sui Campi Elisi. Vince su tutti i terreni, compreso il fuoristrada come il suo amico rivale Van der Poel: in attesa di decidere cosa far da grande, va alla grandissima.

8 a Van der Poel. Di quelli che vanno a casa in anticipo, chi per i guai di una caduta (Roglic) o per scelta programmata (Nibali), è quello che incassa più critiche di tutti. Ingiustamente: di puntare ai Giochi l’aveva fatto sapere prima di prendere il via in un Tour onorato con una grande vittoria di tappa e una settimana in giallo nel nome del nonno Poulidor. Averne, di campioni così.

7 a Carapaz. Chiude al terzo posto facendo quel che può. Con una squadra al di sotto delle aspettative prepara quotidianamente le trappole che Pogacar puntualmente salta con facilità, lui stesso prova ad attaccare un leader che si rivela inattaccabile. Con la sua prova rivaluta anche il Giro, dimostrando che chi vince in Italia ha la qualità per correre laddove la concorrenza è più forte.

7 a Cavendish. Nel Tour che non avrebbe dovuto correre, perché il team gli aveva preferito Bennett, il velocista dell’Isola di Man conquista quattro vittorie eguagliando il record di tappe di Merckx: un bel modo di rinascere per uno che nessuno voleva più ed era finito in depressione, un risultato impensabile per chi, a 36 anni, sembra avere ancora la forza di quando ha cominciato.

7 a O’ Connor. Si costruisce la classifica con un’impresa nel tappone alpino, ma soprattutto non mollando mai nelle successive in salite, confermando quanto di buono mostrato al Giro nell’ottobre scorso. Australiano atipico, perché va forte in montagna, si arrampica fino al quarto posto con intelligenza, non cedendo mai alla tentazione di andare al passo di chi ha una marcia in più di lui.

7 a Colbrelli. Raccoglie un secondo e un terzo posto, sfiorando la vittoria non allo sprint, ma in dure tappe di montagna. Non è la metamorfosi di un velocista, tra l’altro costretto ad arrangiarsi da solo negli sprint, ma la conferma di un uomo di fondo che non teme il freddo, qualità che prima o poi finiranno per premiarlo sul terreno a lui ideale, le classiche del Nord.

6 a Kelderman. Finisce nei primi cinque senza acuti, ma grazie alla costanza che lo fa viaggiare a ridosso dei migliori in salita. Dopo aver perso lo scorso anno un Giro che sembrava avere in pugno, si riabilita sul palcoscenico più importante, battendo anche la sfortuna che lo ha perseguitato, confermando con la sua regolarità di esser uomo da piazzamenti più che da podio.

6 a Cattaneo. E’ il migliore della sparuta compagnia italiana (9 al via dalla Bretagna, 7 a Parigi dopo gli addii di Nibali e Guarnieri). Fa classifica buttandosi all’attacco, sfruttando la libertà concessagli da un team che non ha un uomo per puntare ai primi dieci. Se resta sull’uscio della top ten è perché in salita gli manca sempre quel briciolo di gamba in più per restare con i big.

6 a Alaphilippe. Completa il suo Tour in un giorno, vincendo la prima tappa e vestendosi di giallo. Ma è esemplare sempre, quando deve aiutare i compagni per accompagnare Cavendish in volata e quando c’è da buttarsi all’attacco in tappe sulla carta per lui proibitive. Ha coraggio e tenacia: non basteranno per provare a vincere un Tour, ma per onorare la maglia iridata sì.

6 a Froome. Vincitore di quattro Tour, chiude a quattro ore da Pogacar, pagando la lenta ripresa dopo l’incidente di due anni fa e una caduta nella prima tappa. Barcolla (in bici) ma non molla e questo è l’aspetto migliore di un campione che continua a dimostrarsi tale anche quando è costretto a guardare la classifica a rovescio.

5 alla Uae. Pogacar è una coperta così lunga da coprire tutti i limiti della squadra che ha intorno. Fra Formolo che si intravede un paio di volte a valle e McNulty che si impegna soprattutto a stare in piedi, l’unico a dare una mano al suo leader è Majka, sui Pirenei: vero che Pogacar basta a se stesso, ma sarà il caso di trovargli una degna compagnia per non spremerlo da giovane.

5 a Quintana. Prova a lanciare qualche acuto, ma la voce non è più quella di qualche anno fa, quando sul podio del Tour ci finiva e qualche giro lo vinceva pure. Tra i primi a decollare da lontano, non sorprende nessuno, nemmeno chi si batte per la maglia degli scalatori: il voto non è solo per lui, ma anche per chi si ostina a indicarlo tra i favoriti.

5 a Mas. E’ in linea con una Movistar che, al netto della sfortuna (Soler a casa il primo giorno con entrambe le braccia fratturate) e dei vantaggi (avere accanto l’esperienza di Valverde aiuta), viaggia sotto tono rispetto agli anni scorsi, quando risultava il migliore come team. Per lo scalatore spagnolo il tempo stringe: alla sua età, o si sboccia o si rischia di diventar tappezzeria.

5 a Uran. Due settimane sotto coperta, senza buttar via una pedalata, non perdendo quasi mai le tracce di Pogacar, lo rendono un’insidia. Crolla nell’ultima settimana, sulle cime dove era atteso, unico colombiano che oltre i duemila metri anziché decollare finisce per sgonfiarsi. Come quelli della sua età, soffre la nuova generazione e i suoi ritmi forsennati.

4 ai francesi. Fuori dai dieci, si godono un mezzo Gaudu nell’ultima settimana dopo i guai fisici e si illudono per il casuale secondo posto in classifica del filosofo Martin, che dura lo spazio di una giornata. Troppo poco per un ciclismo che da 36 anni non conquista la corsa di casa: chissà se Hinault riuscirà mai a vedere il suo degno erede.

2 ai commenti tv. Vai su una rete e senti che Pogacar ‘vince la tappa, ma non mostra tutta quella superiorità che ha sui rivali’, cambi canale e senti che ‘lo sloveno fa bene a vincere le tappe in maglia gialla, ma non dovrebbe esagerare per non diventare antipatico’. Curioso che scomodino tutti la parola cannibale senza conoscerne a fondo il significato.