Marco Pantani, 15 anni dopo. Quella volta che corse con la parrucca

Il ciclista, ma soprattutto l'uomo. Il 'pirata' è rimasto nei cuori di tanti e non solo per i suoi successi

Marco Pantani (Ansa)

Marco Pantani (Ansa)

Bologna, 14 febbraio 2019 - Raccontano che Marco Pantani sia stato un idolo soprattutto in Italia. Poi succede che la scorsa estate, quando Nibali è costretto a chiudere il suo Tour dopo una caduta all’Alpe d’Huez provocata da uno spettatore, l’autista francese che guida la sua ambulanza, sentendo nominare il campione romagnolo, mostri ai giornalisti un intero campionario di ricordi legati a Marco, dai tatuaggi all’orecchino fino alla cover del cellulare. "E’ stato il più grande di tutti: qualche anno fa sono venuto apposta a Cesenatico per vedere il suo museo e conoscere i genitori, uno così non lo rivedremo più", le parole del tifoso: è proprio vero che la nostalgia del campione di Cesenatico non ha confini.

Raccontano che Pantani, con la sua tragica fine, abbia un po’ offuscato il ricordo del campione che è stato. Poi succede che spuntino monumenti su tutte le salite da lui rese famose, che i comuni gli dedichino le strade e che la sua Cesenatico decida di sloggiare nientemeno che Guglielmo Marconi, un Nobel, per intitolargli una piazza. "Dici che un giorno si ricorderanno di me?", scherzò al ritorno dalla doppietta Giro-Tour nel ’98: certo che sì, fu la risposta, e il modo in cui se n’è andato quindici anni fa proprio non c’entra.

Raccontano che Pantani andasse forte perché in quell’epoca un po’ tutti cercavano l’aiutino. Poi succede che un giorno, da juniores, vada ad allenarsi con i professionisti e in salita resti incollato a loro, tanto che uno dei romagnoli più in voga, Alfio Vandi, dice ai colleghi: "Se non riesco a staccare questo qui, è meglio che smetta". Finisce come tramanda la leggenda: Marco non si stacca e Vandi appende la bici al chiodo. Succede anche, qualche anno dopo, che Pantani si infili in una comitiva di cicloamatori, ospiti di Cassani in Riviera per una scuola di ciclismo: Marco fa alcuni chilometri con loro poi, all’imbocco di una salita tostissima, saluta dicendo "adesso è ora che mi alleni un po’" e decolla senza nemmeno accorgersi della pendenza. Vedendolo, il primo della fila scoppia in lacrime dicendo "non ci credo": succede quando incroci chi fa cose incredibili.

Raccontano che Pantani non avesse rispetto per nessuno. Poi succede che Alfredo Martini, vedendolo sguazzare nella piscina dell’hotel alla vigilia del Mondiale in Colombia, non solo non lo sgridi, ma gli dica "bravo Marco, rilassarsi in acqua fa bene al fisico": non venerava l’anziano Maestro per questo, ma anche per questo. Poi succede anche che, il giorno in cui Luciano Pezzi lo mette sotto contratto nonostante abbia ancora le stampelle per l’incidente alla Milano-Torino, sentendosi osservato per via dell’orecchino, Marco chieda al glorioso dirigente se quel tipo di ornamento gli dia fastidio. "Figurati, ce l’ha anche mio figlio Fausto", la risposta: guai a sorprendersi se il giorno della morte di Pezzi il campione di Cesenatico ha cambiato programma ed è andato a vincere il Tour per dedicarglielo.

Raccontano che Pantani pensasse solo a se stesso. Poi succede che un pomeriggio telefona a un amico giornalista e gli chiede: "Hai il numero della moglie di Casartelli? Sai, sono passati alcuni mesi dalla morte di Fabio in corsa e mi piacerebbe andare a trovare, e accompagnare il bambino a comprare qualche giocattolo". L’avrebbe fatto anche con la famiglia di un amico bagnino, lui pure tragicamente scomparso: la vera beneficenza è quella che si fa e non si sbandiera.

Raccontano che Pantani abbia vinto un Tour senza allenarsi. Poi succede che un giorno, prima di partire per la campagna di Francia, lui raduni la sua guardia scelta per un allenamento lungo, faccia pedalare i compagni per 220 chilometri e quando questi lo invitano a girare verso casa perché il cielo all’improvviso è diventato tutto nero lui ordini di tirare dritto, per altri 30 chilometri, sotto la grandine. Per informazioni, chiedere a chi era in squadra con lui: i gregari non vedevano l’ora che arrivassero le corse, perché si faticava meno che in allenamento.

Raccontano che Pantani fosse un tipo ombroso, cupo, solitario. Poi succede di capitare in mezzo a una cena con gli amici, in uno dei tanti locali di pesce di Cesenatico, oppure in un raduno con la squadra, e vederlo ridere, scherzare e pure cantare con tutti, oltre a pagare puntualmente il conto per per tutti. Oppure succede che alla vigilia dell’ultima tappa del Tour del ’98, quella in cui il vincitore sfila sui Campi Elisi, costringa i compagni non solo a tingersi di giallo i capelli, ma pure a metter l’orecchino: uno di questi confesserà di esserselo tolto appena salito sull’aereo del ritorno, "altrimenti avrei sicuramente divorziato".

Raccontano che Pantani il meglio di sé lo abbia mostrato in corsa. Poi succede che nei mesi della rieducazione, dopo aver fatto ricredere persino il suo amico fisioterapista Fabrizio Borra sulle percentuali della sua ripresa come corridore, appena risalito in bici si iscriva di nascosto a una corsa amatoriale di paese e la affronti con la parrucca indosso per non farsi riconoscere. Conciato così, va in fuga col più forte che lo scambia per una ragazza, ma lui si toglie la parrucca e lo rassicura: "Tranquillo, la gara la vinci tu, io sto solo facendo allenamento", dice con quella risata che nella mente di chi non ha mai smesso di volergli bene resterà impressa per sempre.