Raccontava uno dei suoi primi maestri di sci, che nel tornare da una lunga giornata sulle piste, tutti i bambini dormivano nel pulmino. Tutti, tranne una. "Lei si metteva in piedi alle nostre spalle ad ascoltare i commenti tecnici". Lei era una piccola Sofia Goggia. Piccola, ma con le intenzioni belle grandi e il destino già prenotato. "Se non fossi diventata una sciatrice, sarei comunque diventata una sciatrice", ama ripetere, tradendo una testardaggine straordinaria, tra gli ingredienti principali del suo successo. La storia comincia a Foppolo, piccolo angolo dell’Alta Val Brembana dove i bergamaschi trascorrono le vacanze di Natale. Un pugno di case: una di queste la compra nonno Antonio e i Goggia ci vanno spesso. Sofia scopre gli sci ai piedi del fratello Tommaso, tre anni più grande. Perché io no? Mamma Giuliana, insegnante di lettere, e papà Ezio, ingegnere, cedono a quella bambina dalla volontà d’acciaio. È l’epifania di una leggenda. Una storia di luci, come quella dell’oro olimpico a Pyeongchang 2018, ma anche di lunghe finestre di buio, per i tanti infortuni che, come mostri, provano a divorare l’animo di Sofia, colpendola ogni volta prima di momenti cruciali, attesi una vita. Il 31 gennaio 2021 a Garmisch viene annullata la gara di Super-G per una nebbia assurda: nello scendere lungo la pista, zaino in spalla, la Goggia incappa in un cumulo di neve bagnata; frattura del piatto tibiale e addio ai Mondiali in casa. Ma lei si rialza e torna più forte di prima. Un anno dopo, 23 gennaio, a Cortina c’è il SuperG, con le Olimpiadi cinesi alle porte. Sofia cade di nuovo, la diagnosi è un treno: distorsione del ginocchio, lesione parziale del crociato e piccola frattura del perone. Per chiunque, sarebbe finita. Non per lei, che trova la forza di rialzarsi. Come in quel ...
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