Giulio Ciccone, dai problemi al cuore alla maglia gialla. Chi è lo scalatore abruzzese

Vincitore di tappa al debutto nella corsa rosa, corre per la prima volta in Francia dopo esser stato protagonista sulle strade di casa. E aver dimenticato le bizze del suo cuore

Giulio Ciccone in maglia gialla al Tour de France (Ansa)

Giulio Ciccone in maglia gialla al Tour de France (Ansa)

Roma, 12 luglio 2019 - Adesso anche Bruno Reverberi, decano dei tecnici italiani di ciclismo, può dire di avere chiuso un cerchio: con i ‘suoi’ ragazzi aveva già conquistato la maglia rossa della Vuelta e quella rosa del Giro, mai la gialla del Tour de France. Giulio Ciccone viene da lì, dal team formato college che per quasi quarant’anni, grazie a Reverberi, è stato rampa di lancio per atleti di successo: Cassani e Roberto Conti prima, Petacchi e Guidi a fine anni Novanta, i vari Brambilla, Modolo e Colbrelli in tempi recenti. Buon ultimo Ciccone, abruzzese di Brecciarola nel Chietino, emigrato per la bici a Sorisole di Bergamo, che a 24 anni avrebbe davanti una lunga storia da scrivere se non la stesse già scrivendo in fretta.

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A scriverla ha cominciato proprio sotto le insegne della Bardiani Csf, la banda di Reverberi formata interamente da ragazzi italiani: tre anni fa, al primo Giro d’Italia, vince subito una tappa, a Sestola, staccando tutti sulle salite dell’Appennino. Ha decisamente un altro passo rispetto a molti anni prima quando, alla prima gara fra i Giovanissimi, otto anni d’età, a Pescara non vince, né si piazza, rischiando di finire la sua corsa contro un muro. Di quel periodo conserva l’esuberanza e la spavalderia che a volte lo rendono tatticamente indisciplinato, facendolo somigliare al conterraneo Vito Taccone. Rispetto al quale è già un bel po’ avanti: mai, finora, un abruzzese aveva indossato la maglia simbolo del Tour.

In cima al Tour, che affronta per la prima volta, ci arriva alla Chiappucci, grazie a una lunga fuga da lontano, di quelle che gli uomini di classifica trascurano dopo aver controllato se chi c’è dentro rappresenti o meno un pericolo. Per ora Ciccone non lo è, perché in Francia si è presentato per annusare l’aria della grande corsa e per dare una mano al capitano designato, la presunta (per ora) stella Porte: che poi lo scalatorino tricolore possa diventare un big, sta a lui dimostrarlo.

In cima al Tour ci arriva anche con un Giro nelle gambe, e che Giro: oltre a lottare con successo per la maglia degli scalatori, Ciccone conquista il tappone più prestigioso, quello del Mortirolo, dopo essersi quasi assiderato per non aver messo la mantellina in discesa sotto la tormenta e dopo il lungo litigio col compagno di fuga Hirt che non gli dava cambi. Non bastasse, si mette pure al servizio del capitano Mollema, un olandese che quando gli va di lusso finisce nei primi cinque e infatti chiude quinto. Fatica che inevitabilmente finirà per pesare sulle gambe di un ragazzo che corre e vince da inizio anno: in Francia, all’Haut Var, il successo sul Mont Faron davanti a Pinot e Bardet è datato febbraio.

Fra l’esplosivo debutto al Giro e questo Tour già oltre ogni attesa, per Ciccone, a dispetto del cognome e della terra d’origine neppure parente da lontanissimo della popstar Madonna, c’è anche una stagione buia: è il 2017, anno in cui il suo cuore fa le bizze: per colpa di un nervo che gli manda in tilt le pulsazioni, deve sottoporsi a un paio di ablazioni in un centro milanese fra ottobre e dicembre. "Adesso mi sento come nuovo", le sue parole quando si rimette in bici per la stagione successiva: a quanto si vede quest’anno, lo sta anche dimostrando.