Giro d'Italia 2021, il pagellone finale di Angelo Costa

Dieci a Egan Bernal, campione anche grazie al lavoro dei sui gregari. Dieci a Damiano Caruso, l’aiutante che diventa capitano

Damiano Caruso sull'Alpe Motta (Ansa)

Damiano Caruso sull'Alpe Motta (Ansa)

Roma, 30 maggio 2021 - Il Giro d'Italia 2021, edizione n.104, si chiude con il trionfo del colombiano Egan Bernal. A Milano, nella cronometro individuale di 30.3 km, con partenza da Senago e arrivo in Piazza Duomo, ha vinto il compagno Filippo Ganna. Un doppio successo per la Ineos Grenadier. Secondo in classifica Damiano Caruso, che dopo l'impresa sull'Alpe Motta, finisce la Corsa Rosa iniziata da gregario con la stoffa del campione, davanti al britannico Simon Yates.

I voti di Angelo Costa

10 a Bernal

Due settimane per costruirsi il Giro, la terza per difenderlo con gregari magnifici, uscendo bene dall’unico giorno di crisi a Sega di Ala. Cammino perfetto per il colombiano che a 24 anni in bacheca ha già un Tour e una corsa rosa: il resto a seguire. Ammesso che la sua schiena gli consenta di affrontare duelli a una quota superiore, vedi alla voce Pogacar.

10 a Caruso

L’altra faccia bella di questo Giro, l’aiutante che diventa capitano e si ritaglia un ruolo da primattore. Lo meritava per aver sempre corso con lealtà e per il rispetto che si è guadagnato da tutti: è il primo a sapere di non essere un campione della bici, ma se realizza in un colpo solo i sogni di una carriera intera è perché è un campione come persona.

8 al Giro

Per il percorso che ha proposto, più duro ed esigente del previsto. Per come è stato interpretato. Per aver messo a posto tutti i pezzi del puzzle, lanciando giovani e premiando chi lo meritava. Non male per una corsa vinta da uno dei tre grandi convalescenti davanti ad un ottimo gregario, e questo la dice lunga sul valore del risultato finale.

8 a Nibali

Già si presenta fresco di frattura, in più non è nemmeno fortunato: cade tre volte, proprio perché avere un polso appena sistemato in bici ti toglie anche un po’ di sicurezza. Barcolla, ma non molla: arrivando fino a Milano, dà una lezione su come si rispettano ciclismo e tifosi e di che dignità abbia chi sa esser campione anche quando non vince.  

8 a Fortunato

Da debuttante chiude il Giro nei primi sedici, secondo italiano della classifica, vincendo la tappa più impegnativa sullo Zoncolan. Non male per il ragazzo di Castel de Britti, una delle tante belle facce in Giro. Oltre che la classica dimostrazione che non bisogna esser stati fenomeni da dilettanti per scoprirsi corridori di talento.

8 a Martinez

Simbolo di una Ineos che ancora una volta corre da corazzata vera e dove tutti fanno il loro: Ganna e Puccio in pianura, Moscon e Narvaez prima e Castroviejo alla fine in salita. Una scacchiera perfetta, dove Martinez regala due mosse vincenti: le urla di incitamento a Bernal in crisi a Sega di Ala e il rush finale per togliere abbuoni a Alpe Motta.

7 all’Italia

Come le vittorie conquistate dai nostri, una ogni tre: fra le due di Ganna in apertura e chiusura, quelle di Vendrame, Nizzolo, Fortunato, Bettiol e Caruso. Nel conto anche la classifica di due esemplari veterani, De Marchi due giorni in rosa e Caruso secondo sul podio finale: se questo è un ciclismo in crisi, chissà cosa pensare di altri.  

7 alla telecronaca Rai

Criticata da sempre, disastrosa nell’edizione scorsa, la mamma di tutte le tv sfodera un racconto che convince: disciplinata Borgato, prima donna al commento, giuste le finestre di Genovesi, puntuali gli interventi di Rizzato e del ct Cassani dalle moto, con un Pancani bravo a far girare la squadra dalla cabina di regìa.    

6 a Simon Yates

Si presenta come capitan Fracassa, annuncia di aver cambiato strategia e fa pensare che per due settimane corra al risparmio per la terza: deve accontentarsi di un successo di tappa e di un podio alle spalle di un campione vero ma non al top e di un aiutante di capitani, facendo venire il sospetto che il meglio il gemello l’abbia dato un mese fa.

6 ai team invitati

Snobbati e a volte maltrattati, i team italiani giustificano ampiamente la wild card, animando fin dall’inizio tappe con fughe che spesso poi arrivano, ma soprattutto evitano la noia. Fra Bardiani Csf, Androni e la debuttante Eolo, che vince anche una tappa, in tre chiudono la corsa con un solo ritirato: oltre che buoni vivai, serve anche gente seria.

6 a Almeida

Butta via il Giro la prima settimana a Sestola, complice anche la sfortuna. Ci rimette altro tempo per aspettare il compagno Evenepoel sugli sterrati come richiesto dalla squadra. Rispunta nell’ultima settimana, la migliore come rendimento, dove dimostra di valere il ruolo di punta: se mette insieme gli ultimi due Giri, vien fuori un corridore da podio.

6 a Sagan

Torna al Giro, vince una tappa, ancora l’undicesima come nell’ottobre scorso, e si porta a casa la maglia ciclamino. Il suo lo fa da campione e anche con un filo di gas, perché la classifica a punti al Tour se la suda di più. Qui ci mette anche una multa per l’atteggiamento minaccioso verso chi va in fuga a inizio tappa: peggio di lui, chi lo giustifica.

5 a Vlasov

Perfetto per metà Giro, dove esce in modo impeccabile da quelle che per lui potrebbero esser trappole (su tutte, lo sterrato), il russo sulle montagne fa come lo spumante che ha perso le bollicine: quando gli togli il tappo, è sgasato. Non regala nulla, se non tempo prezioso a chi aspira al podio: è ancora materiale grezzo, per fortuna ha intorno chi è capace di lavorarlo.

5 a Evenepoel

Ha il merito di render viva la prima settimana, inventandosi come rivale di Bernal. Il voto non è a lui, che fa il possibile e addirittura conclude la sua ultima tappa dopo esser volato oltre il guard rail, ma a chi ha pensato che dopo nove mesi di stop potesse ricominciare dal Giro: non è senno di poi, era facile anche calcolarlo prima.

4 ai ciclisti

Chissà perché da due edizioni in qua hanno il vizio di far ridurre una tappa, fidandosi delle previsioni meteo, per quanto non estreme. Aver fatto tagliare due passi alpini, tra l’altro prestigiosi come la cima Coppi, è un capriccio che si è rivelato un autogol: oltre alle salite, è sparita l’immagine del ciclista che non solo si rivela più forte di tutti, ma anche di tutto.

4 agli illusionisti

Bardet, Carthy, Hindley, Bennett, lo stesso Almeida: leggendo la lista degli ambiziosi alla vigilia, non avrebbero potuto spaccare il mondo, ma qualcosa in più farlo vedere. E’ il solito gioco del pronostico, si dirà, ma in un ciclismo in cui i giovani vanno all’attacco sempre, chi sta in retrovia aggrappato alla posizione di classifica si nota di più.  

2 a chi si accontenta

C’è chi torna a casa per incidente (Landa subito, poi Buchmann, infine Ciccone ed Evenepoel), c’è invece chi se ne va dopo due tappe vinte perché deve pensare a Tour e Vuelta. Come Caleb Ewan, che non farebbe nulla di male se la raccontasse giusta: in un Giro con poco spazio per i velocisti, fa quasi sorridere che usi la bua al ginocchio come scusa.

1 alle immagini tv

L’altra faccia della diretta: al racconto puntuale dei telecronisti corrisponde una regìa non sempre attenta, in ritardo su un paio di sprint, distratta su molti episodi di corsa poi recuperati col replay. Puoi avere a disposizione una corsa bellissima, ma non riuscire a mostrarla bene serve soltanto a ottenere l’effetto contrario.

0 agli agitati

Giro significa ripartenza anche per il pubblico, ma in qualche caso se ne potrebbe fare a meno: sulle salite più dure, è un festival di rincorse, travestimenti e spinte, ma soprattutto di gente senza mascherina. Poi succede che il folle dello Zoncolan si penta e lanci iniziative benefiche per rimediare, ma se butti in terra un corridore in fuga c’è poco da scusarsi.