Giampiero Galeazzi: "La malattia? Un colpo di remi e avanti"

Bisteccone: altro che gli ultimi 500 metri, pronto a fare migliaia di chilometri

Giampiero Galeazzi a Domenica in (Lapresse)

Giampiero Galeazzi a Domenica in (Lapresse)

Roma, 27 gennaio 2019 - "È vero, ho detto in tv a Mara Venier che mi sto preparando per affrontare gli ultimi 500 metri della vita. Ma io sono pronto anche per fare mille chilometri...".

Giampiero Galeazzi appartiene ormai al repertorio della cultura nazionalpopolare. Le sue telecronache e le sue interviste hanno cambiato il modo di fare tv nel nostro paese. Al netto di qualunque forma di snobismo, Bisteccone, come lo chiama affettuosamente la gente comune, è un pezzo di storia dell’italico costume.

"Adesso non esageriamo con gli elogi – borbotta –. Io non mi sono mai montato la testa, sono sempre stato spontaneo".

Forse la chiave del successo sta lì.

"Entrai al Giornale Radio della Rai nel 1970. Ho trovato un grande maestro in Sandro Ciotti. Che mi diede subito una bella lezione".

Contenuto?

"Avevo preparato un aulico testo su una gara di canottaggio. Ciotti legge e fa: prima si danno le notizie, poi si cazzeggia. Non l’ho mai dimenticato".

Eppure Galeazzi sul cazzeggio ha costruito un mito.

"Non facciamo confusione. Io sono sempre stato un cronista, però ammetto che la partecipazione a Domenica In mi ha cambiato la vita".

Addirittura.

"Eh, sì. Andavo in onda con Mara Venier e da quel giorno ho smesso di fare la coda in farmacia. Al ristorante mi davano sempre il tavolo migliore...".

Le luci accecanti della ribalta.

"E non sa quante invidie mi sono attirato in Rai! Ero diventato un personaggio e trovavo direttori che volevano farmela pagare".

La mediocrità altrui è una brutta bestia, caro Giampiero.

"Ci sono rimasto male ma ho agito come Clark Gable in Via col Vento. Ricorda la frase storica?"

‘Francamente me ne infischio’.

"Quella. Me ne sono infischiato e sono andato avanti, niente code in farmacia e tavolo migliore al ristorante".

L’avrebbe detto quando urlava per le regate trionfali dei fratelli Abbagnale?

"Ah, emergevano le mie radici. Sono stato canottiere, nel 1968 mi portarono come riserva alla Olimpiade di Città del Messico. Dividevo la camera con Baran e Sambo, che poi in coppia vinsero l’oro. La notte prima della finale, andai a dormire sul pavimento perché potessero riposare meglio, pensi un po’".

Una riserva dal cuore d’oro.

"Ma sono passati più di 50 anni e ancora mi scoccia che non mi abbiano fatto gareggiare alla Olimpiade!".

Consoliamoci: il canottaggio è una metafora della vita.

"Sempre. Se vuoi raccontare lo sport è un vantaggio se sei stato sportivo praticante. Infatti per le telecronache mi ispiravo a Paolo Rosi, l’ex grande rugbista che ha raccontato le imprese di Pietro Mennea e di Sara Simeoni".

Galeazzi, permette una provocazione?

"Anche due".

Ma a proposito delle telecronache degli Abbagnale, improvvisava o c’era un copione?

"Al microfono ero me stesso al naturale ma ammetto che i semafori mi hanno aiutato".

Cosa c’entrano i semafori?

"A Roma certe soste per il rosso sono eterne. Allora io stavo in coda e mi veniva in mente la frase: non li prendono più, non li prendono più...".

Benedetti semafori.

"E benedetto Beppe Viola, che mi insegnò la forza di un linguaggio immediato".

Tra i campioni visti da vicino, chi ha amato di più?

"Gli Abbagnale e Antonio Rossi il canoista per ovvie ragioni. Panatta e Bertolucci nel tennis. Poi, visto che ho inventato anche le interviste a bordo campo, calciatori come Maradona, Platini, Falcao...".

E adesso restano ancora mille chilometri da fare, caro Giampiero.

"Sono d’accordo, i 500 metri di cui ho parlato in tv sono troppo pochi...".