Giovedì 18 Aprile 2024

Jacobs: Bolt mi ha scritto, lo invito a Parigi. "Rivedrò papà al mio matrimonio"

L’oro olimpico dei 100 metri: al mito Usain voglio chiedere come si fa a vincere con una scarpa slacciata. "Mio padre non l’ho ancora incontrato, ma ha detto che verrà alle nozze con la sua famiglia allargata"

Lamont Marcell Jacobs, 27 anni, a Savona

Lamont Marcell Jacobs, 27 anni, a Savona

"Mi sono davvero accorto che dentro lo stadio di Tokyo non c’era nessuno o quasi solo quando ho fatto il giro d’onore con il tricolore. E allora ho pensato d’istinto una cosa…".

Dall’estate 2021, Marcell Jacobs, Marcellino pane e vino!, è una icona nazionale. Ha vinto l’oro olimpico sui 100 metri. E poi anche con la staffetta veloce. Di colpo, la sua vita è cambiata. Per sempre, come testimonia Flash. La mia storia, un bel libro che non racconta solo una impresa. Ne abbiamo parlato assieme.

Marcell, io a Tokyo c’ero. Quanto ti è mancato il boato della folla?

"All’inizio, niente! Ero troppo concentrato su quanto dovevo fare. Quando stai sui blocchi per la partenza, ovunque la folla ammutolisce. La differenza figlia della pandemia l’ho percepita a gara finita".

Nel momento del tripudio. Silenzioso.

"Eh, dopo, dico dopo il trionfo, quel silenzio mi ha dato l’idea".

Che idea?

"Debbo concedere il bis a Parigi, ai Giochi del 2024. Per gustare ciò che il Covid ha tolto a me e a Tamberi in quella notte magica. Io e Gimbo eravamo strafelici, sarebbe stato bello condividere con i tifosi".

A Tokyo in effetti abbiamo vissuto l’Olimpiade dell’isolamento.

"Eh, mi ricordo la primavera del 2020, quando la pandemia venne a stravolgere la quotidianità di tutti…"

È stata dura per un atleta?

"Onestamente, noi sportivi abbiamo sofferto meno della gente comune. L’atletica leggera la pratichi all’aperto, io avevo il permesso per andare al campo per gli allenamenti. Ma era impossibile non cogliere il senso di disagio. A Roma era tutto deserto, facevo la spesa con guanti e mascherina, era una situazione straniante…".

In quel frangente così cupo che Italia hai visto?

"Siamo un grande Paese".

Sul serio?

"Sul serio. Umanamente c’è stata una fase difficile, prevaleva la diffidenza reciproca. Ma ne siamo usciti, accettando la sofferenza. Sono orgoglioso dei miei concittadini".

Magari anche le imprese di voi campioni dello sport hanno aiutato.

"Sì, forse sì. Mi ricordo quando dopo la prima ondata Covid mi sono spostato con la mia compagna e i due nostri bambini a Desenzano sul Garda, dove mia madre ha un hotel. Avevano annunciato il rinvio di un anno dei Giochi di Tokyo. Lì mi sono detto: da un male può nascere un bene, avrò dodici mesi in più per prepararmi".

Beh, non poteva andare meglio.

"Eh, era il mio sogno. Anzi, non esattamente".

Prego?

"Io, da adolescente, immaginavo di diventare il primo uomo a saltare nove metri nel lungo".

Bum.

"Avevo progettato tutto, avevo studiato i balzi di Carl Lewis, poi mi sono convertito alla velocità ed eccomi qua".

Erede di Usain Bolt, il bipede più veloce di sempre, tre ori olimpici di fila sui 100.

"Mito assoluto! Vedere il mio nome associato al suo è esaltante. Il giamaicano l’ho visto solo in tv, ma sui social dopo Tokyo mi ha mandato un audio".

Per dire che?

"Che si aspetta che io mi ripeta. Quasi quasi lo invito a Parigi nel 2024 così gli chiedo di persona una cosa".

Sentiamo.

"Bolt nel 2008 vinse i 100 alla Olimpiade di Pechino correndo con una scarpa slacciata. Se mi spiega come ha fatto lo imito".

Marcell, è stata dura essere un bambino italiano con la pelle scura?

"Per niente".

Sul serio?

"Sul serio. Non ho mai avvertito un pregiudizio nei miei confronti. Mai. L’Italia non è un paese razzista".

Magari dopo Tokyo è più facile, a parte le malignità straniere sul doping.

"Io sono pulito, ho una storia che parla per me. In patria sento tanta simpatia attorno a me. Ho fatto una cosa grande, anzi due considerando il capolavoro con gli amici della staffetta. La gente mi vuole bene".

E come si governa la popolarità improvvisa?

"Restando se stessi. Il contorno ovviamente è cambiato, mi riconoscono per strada, mi invitano ai festival o ai convegni. Ma ho la stessa famiglia, la stessa casa, lo stesso staff, ho solo comprato qualche mobile nuovo. Mi alleno come prima, non faccio vita notturna. Se mi chiedono un selfie per strada, se ho tempo ne faccio dieci. In breve: sono una persona normale. Una cosa però mi ha dato fastidio".

Che cosa?

"Quando qualcuno mi ha fatto dire che il mio primo figlio, avuto da un’altra relazione, se la sarebbe dovuta cavare da solo. Nemmeno ho mai pensato una cattiveria del genere. È un bambino, gli voglio un mucchio di bene e lui lo sa".

A proposito, con il papà americano come va? Vi siete visti dopo l’Olimpiade?

"No".

Ahi.

"Un attimo. Ci siamo ritrovati, siamo in contatto sul web e anzi darò una notizia".

Prego.

"A settembre mi sposo e mio padre verrà in Italia con diciotto membri della sua nuova famiglia. Lo aspetto".

Auguri.

"Li accetto anche per la stagione. Presto a Eugene nell’Oregon sfiderò sui 100 i 7 sprinter americani più forti. Sarà la prova generale dei mondiali, che si terranno proprio lì in estate".

Li battiamo?

"Di sicuro mica vado là a pettinare le bambole".