Alonso e la Renault, il richiamo del primo amore

Fernando rientra dopo due anni: non vince una corsa dal 2013, un mondiale dal 2006. Eppure è un grande pilota, tradito da scelte sbagliate

Fernando Alonso

Fernando Alonso

Tutto torna, diceva il filosofo. Compreso Fernando Alonso. Che si riappropria del volante di una monoposto di F1 dopo due stagioni interamente dedicate ad altre emozioni da corsa: la 500 Miglia di Indianapolis, le 24 Ore di Le Mans e di Daytona, persino i raid nel deserto.

Tutto torna, compreso Fernando Alonso. Che non sa rinunciare alla tentazione dei Gran Premi. L’ultimo da lui disputato risale all’autunno del 2018. A bordo di una delle tante scelte sbagliate di una carriera che poteva e doveva essere ben diversa: la McLaren del disincanto. E di un fallimento pluriennale.

A rileggerla in controluce, la carriera dello spagnolo è un mix di trionfi e di occasioni sprecate. Giovanissimo, si mise subito in evidenza. Nel 2001, Giancarlo Minardi lo lanciò nel Circo a quattro ruote esclamando: "Ho trovato l’erede di Senna".

Forse era una esagerazione, ma insomma. Adottato da Flavio Briatore, col marchio Renault Alonso ha saputo interrompere il dominio generazionale di Michael Schumacher. Ha vinto il mondiale 2005 e nel 2006. Era lui il Predestinato. Solo che.

Solo che poi scatta il meccanismo della sliding doors. Le porte girevoli. Fernando va in McLaren e dovrebbe restarci una vita. Invece si imbatte in un Fenomeno sconosciuto: Lewis Hamilton! Invece di adattarsi all’imprevisto, l’asturiano litiga con tutti. Si lascia coinvolgere dallo scandalo della spy story ai danni della Ferrari. Ne esce barattando l’immunità con la collaborazione prestata a chi indaga. Non un bel vedere, almeno per chi ha memoria.

Tornato senza fanfare in Renault (in due stagioni due vittorie, una delle quali nella notte del Crash-gate, il finto incidente del suo compagno di squadra Piquet junior), nel 2010 Alonso corona il sogno di sempre: arriva in Ferrari, dove tre anni prima Jean Todt non lo aveva voluto, preferendogli Kimi Raikkonen.

Onestamente, nei cinque campionati spesi a Maranello Fernando ha dato il meglio di se stesso. Animale da gara, ha perso due mondiali all’ultimo respiro, nel 2010 e nel 2012. Più vittima che colpevole, anche se è emersa di nuovo la sua incapacità di fare gruppo.

E poi di nuovo la McLaren dal 2015, una montagna di soldi, un Everest di amarezze. Plateale la rottura con il fornitore Honda, accusato dallo spagnolo di confezionare motori di serie B. Così i giapponesi si sono accasati in Red Bull con Verstappen e, guarda un po’, hanno preso a vincere qualche Gp ogni tanto.

Ah, Alonso! Non conquista un mondiale dal 2006. Ultima corsa vinta, nel 2013. Ha debuttato in F1 nel 2001. Eppure torna e nemmeno sarà disdicevole fare un poco il tifo per lui. Perché sa guidare, perché è un campione.

Reduce da un brutto incidente in bicicletta, Fernando riparte dall’amore più felice, ancora la Renault, tramite marchio Alpine. Squadra ambiziosa, con un manager italiano, quel Davide Brivio che ha lasciato la Suzuki iridata su due ruote per cimentarsi con le auto.

Classe 1981, in pista Alonso avrà solo un collega più anziano, Kimi Raikkonen. Debuttarono insieme in Australia, venti anni fa.

Auguri ai due vecchietti.