Mercoledì 24 Aprile 2024

Addio Michelotti, l’arbitro diviso tra calcio e Verdi

Diresse 145 gare in A dal 1968 al 1981: onesto, trasparente e autorevole. L’altra sua grande passione era l’opera

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Leo Turrini

Alberto Michelotti, spentosi nella sua amatissima Parma all’età di 91 anni, non è stato soltanto uno dei più grandi arbitri nella storia del calcio italiano ed internazionale. Chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo può rendere testimonianza della vitalità di un personaggio che avrebbe reso felice, con le sue esuberanze, uno scrittore come il conterraneo Giovannino Guareschi.

Con il fischietto in bocca, Michelotti segnò un’epoca. Dal 1968 (un Napoli-Varese) al 1981 (un Napoli-Juventus) diresse 145 partite di serie A, 115 di serie B e 86 sui palcoscenici internazionali. Non di rado paragonato, per gestualità e metodi imperiosi, al leggendario Concetto Lo Bello, in realtà Alberto era già un arbitro moderno, nel senso migliore del termine. Non era autoritario: era autorevole, che è cosa molto diversa. I maneggioni e gli intrallazzatori sapevano di dover girare al largo: Michelotti veniva da una infanzia aspra, aveva fatto la fame e aveva imparato in fretta il piacere dell’onestà.

Anche nelle polemiche, immancabili a proposito di rigori e fuorigioco, non si lasciava intimidire. Era trasparente. Una volta Gianni Rivera, che era un mito, se la prese con l’arbitro alle prime armi venuto da Parma: ma capì in fretta di avere sbagliato bersaglio.

Dicevo all’inizio che questo Don Carlo del fischietto è stato tanto altro e tante altre cose ha fatto, nella vita. Non a caso ho evocato il Don Carlo di Giuseppe Verdi: dell’immenso musicista Michelotti era un cultore appassionatissimo. Sapeva tutto del padre dell’Aida e il Teatro Regio di Parma per lui era come un santuario. Ho sempre avuto il sospetto che Alberto non rimpiangesse la svista per un rigore non dato: piuttosto gli bruciava di più non avere avuto i mezzi economici per diventare un concertista.

Ancora. Lasciato il calcio, chi ama il ciclismo lo ricorderà nello staff che gestiva arrivi e partenze del Giro d’Italia. Anche lì, con un fischietto in bocca e metodi energici, buoni per smistare il traffico delle ammiraglie al seguito dei corridori.

Ah, Michelotti! Con quella eleganza austera, da arbitro sempre in giacchetta nera fu poi pure tra i promotori del boom della pallavolo italiana, con incarichi a livello di Lega Volley. Un anarchico verdiano, un emiliano vero, un grande italiano, questo è stato e così mi va di ricordarlo: con lo striscione che i tifosi del Napoli appesero in curva il giorno della sua ultima partita.

C’era scritto: "Alberto, tu si ‘na cosa grande". Appunto.