Addio Castagner, il record dal volto umano

Allenava il Perugia che per primo nella storia chiuse la serie A senza sconfitte nel ’79. Aveva 82 anni, guidò anche Milan, Inter e Lazio

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di Leo Turrini

Raccontare Ilario Castagner significa tuffarsi nel fiume della memoria per nuotare controcorrente. Perché il personaggio, vorrei dire persino più dell’allenatore!, apparteneva ad una epoca irrimediabilmente perduta. L’era in cui le passioni calcistiche già erano roventi, per carità. Ma ancora poteva capitare di imbattersi in figure che consideravano educazione e gentilezza non inutili orpelli, bensì medaglie al valore.

Ecco: tra poco dirò del Castagner tecnico in panchina e ne dirò benissimo, non in ossequio alla memoria, ma per grandi meriti acquisiti. Partendo comunque dal senso civico del protagonista, dal suo garbo, da uno stile che non a caso ne fece uno dei primi commentatori televisivi.

Il resto è tanto ed è storia di un territorio, di un angolo magico dell’Italia non metropolitana. Il resto è Perugia, dove mister Castagner scrisse una favola romanzesca.

Chi c’era, sa. Mai, in mezzo secolo di serie A a girone unico, dal 1929 al 1979, una squadra aveva chiuso imbattuta il campionato. Ci riuscì il Perugia di Castagner, cui solo un deficit di motivazione negò il titolo, andato all’ultimo Milan di Gianni Rivera. Ma, con tutto il rispetto per l’Abatino, l’impresa vera la firmarono gli umbri, con quello “0” sotto la casella delle sconfitte (hanno concesso repliche, nei decenni successivi, soltanto un Milan di Capello e una Juve di Conte, tanto per capirci).

Quel Perugia della stagione 1978-79 rappresentò l’apogeo della idea di calcio di un allenatore mite, moderno, sprovvisto di fuoriclasse e però in grado di far applicare rigorosamente dai giocatori le intuizioni del nocchiero, del mister. Del resto Castagner aveva forgiato un gruppo mettendo sempre la squadra davanti all’individuo. Aveva portato il Grifone umbro per la prima volta tra i Vip del pallone nel 1975 e ce lo aveva mantenuto tenendo insieme l’estro di Novellino, poi ceduto proprio al Milan, l’estro proletario di Sollier, la diligenza operaia di Frosio e Vannini, l’esuberanza chiassosa del primo Bagni.

Tra quei piccoli eroi di periferia, c’era anche un centrocampista instancabile. Si chiamava Renato Curi ed era l’idolo della tifoseria. Morì sul campo, stroncato da un infarto, il 30 ottobre 1977, durante la partita Perugia-Juventus.

Forse anche per questo ricordo tragico inciso sulla pelle, altrove Castagner non trovò le gioie sportive che avrebbe meritato. Tra Lazio, Milan e Inter la metropoli lo sedusse, ma non lo conquistò.

E in fondo, forse, è stato giusto così: ognuno di noi ha un suo posto dell’anima.

Perugia, per Ilario.