Addio a Clerici, un vero artista con la racchetta e con la penna

Tennista promettente in gioventù, poi giornalista: famose le sue telecronache con Rino Tommasi

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di Leo Turrini

Non parlerò di Gianni Clerici, spentosi ieri all’età di novantuno anni, come di un collega. Gli farei un torto.

Campione di tennis in gioventù (due volte tricolore nel doppio insieme a Fausto Gardini, partecipò anche a Wimbledon e Roland Garros), Gianni è stato ben più di un cronista. Dunque, con un filo di emozione tenterò di descriverlo mettendomi nei panni del lettore (dei suoi testi formidabili apparsi prima sul Giorno e successivamente su Repubblica) e del telespettatore (i suoi video racconti in compagnia del da me amatissimo Rino Tommasi hanno fatto epoca, su Telepiù e su Sky, e ieri sono stati tantissimi i campioni del passato a ricordarlo con affetto, da Bertolucci a Pietrangeli).

In breve. Clerici non era un giornalista. Era un artista, che si specchiava nella grande bellezza di uno sport, appunto il tennis, che per lui era ben altro. Qui sta il Genio, in qualunque ambito, di chi vola alto e vede oltre. E ci riescono in pochi. Anzi, in pochissimi.

Da lettore e da telespettatore, non di rado avevo l’impressione che nelle parole di Gianni Clerici ci fosse, sistematicamente, una felpata metafora della vita. Senza averlo mai incontrato, nemmeno sfiorato, ero rallegrato dall’idea che nella sua prosa d’autore ci fosse una costante rimembranza dei classici greci e della grande letteratura russa. Sensazioni che trasformavano la lettura di un suo resoconto in un viaggio tra l’alto e il basso, tra il sacro e il profano, nel tentativo forse vano di offrire al popolo una chiave interpretativa distinta e distante.

Cosa faceva di Borg una macchina? Perché McEnroe sembrava matto come un cavallo? E Agassi, davvero odiava la racchetta?

Gli altri, cioè noi giornalisti, davano risposte anche efficaci. Ma solo Clerici ti prendeva per mano e ti accompagnava sui sentieri spersi della fantasia che si faceva realtà.

Certo, ogni tanto si concedeva qualche birignao, sempre la televisione ti spinge all’ammiccamento, alla strizzatina d’occhio furtiva: ma in lui, lo ripeto da lettore e telespettatore, finiva sempre con il prevalere la dignità alta della parola che osa sconfinare nella poesia.

Mi hanno raccontato che lo inserirono nella Hall of fame del tennis e mai riconoscimento fu più meritato. Ulisse, Ettore e Achille senza la penna di Omero sarebbero rimasti campioni d’arme, mica si sarebbero trasformati in eroi. Gianni Clerici ha compiuto lo stesso miracolo per gli idoli del dritto e del rovescio.

E scusate se è poco.