EMILIO Fede, nell’ambito dell’inchiesta che lo vede accusato di concorso in bancarotta assieme a Lele Mora, sarà sentito dalla procura di Milano. Nell’invito a comparire che i pm Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci gli hanno inviato, si segnala l’«urgenza» di ascoltare il giornalista, sia perché è stato lui stesso a chiedere di essere sentito, sia perché da notizie di stampa è emerso il fatto che Fede avrebbe portato in Svizzera 2,5 milioni di euro in una valigetta, senza riuscire però a depositarli perché la banca non li avrebbe voluti. Gli inquirenti dunque vogliono chiarire, tra le altre cose, questo aspetto e capire se quel presunto ‘viaggio’ in Svizzera riguardi soldi legati al fallimento delle società di Mora, poiché gli stessi magistrati stanno lavorando su un presunto ‘buco’ che potrebbe corrispondere proprio a quella cifra.

di Lorenzo Sani

DA MEDIASET a Medjugorje. È la strada che gli suggerisce il suo vecchio cronista di giudiziaria, Paolo Brosio. E poi, con quel cognome lì, Fede, al buon Emilio «spudoratamente onesto» (definizione di Aldo Grasso) non dovrebbe essere difficile.
«Io gli voglio bene al mio direttore e so di cosa ha bisogno, ora: di una bella pausa di riflessione e di avvicinarsi un po’ a Dio, perché dopo la caduta c’è sempre la resurrezione».

Anche Brosio è caduto e a modo suo è risorto, con la preghiera. Ha creato una onlus e il progetto ‘Nonni e nipoti’ con la realizzazione di un orfanotrofio a Medjugorje. «Vorrei invitare il mio direttore a vedere questo orfanotrofio, così, magari, mi dà una mano per ultimare i lavori».

Perché no, se ci fosse pure un casinò nei paraggi...
«Lasciamo stare il casinò, sennò va a finire che ci finisce davvero. Io voglio che venga sulla collina con me e che mi aiuti a terminare l’orfanotrofio. Può farlo, è una persona molto generosa. E poi, con la liquidazione che prenderà...».

Quanti soldi mancano ancora?
«Più o meno 100mila euro».

Il direttore può sempre farseli prestare da Lele Mora...
«Almeno sono soldi che vanno a fin di bene... Nella vita il mio direttore (lo chiama sempre così, ndr)ha aiutato molte persone in difficoltà, lo può scrivere perché vero».

Anche minorenni?
«Lasciamo perdere queste cose, per carità. Se ci mettiamo a giudicare gli altri... La risposta è Dio e il mio direttore si deve avvicinare con convinzione, non con la preghierina distratta. Io per primo mi ci sono avvicinato e per questo gli suggerisco la stessa strada. Perché so che ha fatto tanto bene a me». Nella resurrezione di Paolo Brosio ci sono un libro e un nuovo programma tv. Ma il suo pensiero va affettuosamente a chi in questo momento soffre.

L’ha chiamato, ha provato a telefonargli?
«No, certamente non lo faccio adesso che lo chiamano tutti. Aspetterò qualche giorno, poi mi piacerebbe andarlo a trovare. Io gli devo tanto e provo per lui, affetto, gratitudine, riconoscenza».

A 80 anni, però, ci si può anche fare da parte, non le pare?
«Sì, ma non in quella maniera. Ci sono rimasto molto male, diciamo che le cose si potevano fare con più tatto: c’è modo e modo di andar via».

Se dovesse definire la sua esperienza al suo fianco?
«Entusiasmante. Lui aveva grande stima di me e non è vero che mi trattava male: lui maltrattava tutti. Mi ha sempre portato in palmo di mano, affidandomi le cose più importanti. Con lui, prima di Mani pulite, ho fatto due scoop importanti, uno su una storia di racket a Milano e l’altro, drammatico, sulla Moby Prince. E quel famoso duetto davanti al tribunale di Milano, lui dallo studio, io col tram che passava alle mie spalle, ha dato i suoi frutti, perché battevamo sistematicamente il Tg3».