Roma, 17 agosto 2011 - ENRICO BERTOLINO non è solo il brillante monologhista al confine con la satira politica, ma è un consulente aziendale di lungo corso.
«Tengo corsi di formazione, di public speaking, orientati a quello che viene chiamato l’edutainment, cioè l’istruzione divertente. Passo delle informazioni simpatiche ma comunque formative. Alle convention aziendali lavoro di giorno e di notte. Di giorno con questi corsi, di notte passo al cabaret».
Quanti appuntamenti ha al mese?
«Dipende dalle stagioni. Posso farne 3-4 come 6-8».
Cosa l’ha spinta sulla strada del doppio lavoro?
«E’ un lavoro che ho sempre fatto, anche prima di entrare nel mondo dello spettacolo. Tra show e consulenza il denominatore comune è il sorriso. Nel campo aziendale cerco di far apprendere delle nozioni con ironia e con la battuta. C’è gente che viene a queste convention con lo spirito con cui una volta a scuola si andava all’ora di applicazioni tecniche... Ci vanno solo perché c’è il buffet. Cerco di mettere più teatro nella formazione e più formazione nello spettacolo. Spero che qualcuno ne abbia beneficiato».
Qual è il segreto del successo, in questo campo?
«Fare un briefing con l’azienda per capire quale messaggio vogliono far passare, altrimenti si rischia di sbagliare tutto. Quando mi chiedono come devono presentarmi, io rispondo come un professore di Harvard, oppure come uno studioso della mitteleuropa specializzato nel marketing neurologico. E’ un espediente per limitare le aspettative. Quando entro sul palco è una sorpresa».
E la platea come l’accoglie?
«Molti sono perplessi. Alcuni non mi riconoscono proprio. Qualcuno alla fine si complimenta, magari mi dice: “Come comico non mi faceva ridere, ma non la conoscevo sotto questo aspetto”».
Prende mai spunti da questo suo mondo “parallelo”?
«Continuamente. Perché vengo a contatto con aziende di tutti i tipi, informatiche, farmaceutiche, alimentari... Su come si organizza un corso di formazione si potrebbe fare un bel pezzo di cabaret. Una volta sono stato a una convention di chimici, sembrava una riunione della carboneria. Noi abbiamo un’idea sostanzialmente negativa della chimica, la associamo a sostanze che fanno male. Invece poi scopri una realtà del tutto diversa».
Essere un personaggio tv aiuta?
«Ti dà la possibilità di essere riconoscibile. Ma in tv non c’è, come qui, il riscontro immediato. Gli ascolti li conosci solo il giorno dopo».
E’ anche un modo per non annoiarsi?
«Io non mi annoio mai. Adesso che in tv c’è meno lavoro ne approfitto per scrivere. Adesso sto completando un libro per Mondadori sui milanesi».
Non ha mai avuto la tentazione di smettere con questa “doppia vita”?
«Se hai la fortuna di fare un lavoro che ti piace, perché buttarlo via? Un conto se volessi fare l’apicultore o il pilota di Formula 1, oppure tutt’e due insieme passando in mezzo alle arnie con una Ferrari... Consulenza aziendale e tv sono due mondi molto vicini».
Come ha cominciato?
«Ho fatto 11 anni in banca e facevo molti stage all’estero. Mi piaceva molto il lavoro di quei docenti, così un giorno qualcuno mi ha proposto: perché non lo fai tu? Ho cominciato con la finanza. Poi ho dovuto decidere di lasciare la banca, e non è stato facile. La banca ti narcotizza con le mensilità».
Mai avuta la tentazione di mollare?
«Mai. Soprattutto quando il lavoro in tv si fa più rarefatto. Non puoi pretendere di stare sempre in tv, e non mi piace accettare le ospitate così tanto per fare. Quando stai lontano c’è chi dice “C’è troppo” e chi invece si chiede: “Dov’è andato a finire?”. Intanto lavoro al computer».