Radiohead 3.0, il grande ritorno: 'A Moon Shaped Pool'

Dopo cinque anni la band di Yorke ha pubblicato il nuovo album

Roma, 9 maggio 2016 - UNA VASCA a forma di luna. Da riempire con gli ultimi anni della ricerca elettronico/poetica di Thom Yorke solista, quel pazzo sogno furioso di creare un nuovo basso continuo - base barocca dell’armonia - attraverso l’accumulo di spezzoni di ritmi diversi, quel pazzo sogno furioso di costruire suadenti armoniose melodie con mattoncini di ritmiche scontrose, dissonanti, accelerate. Una vasca a forma di luna da riempire delle chitarre e delle idee di Johnny Greenwood, delle sue sperimentazioni soliste che vanno dalle collaborazioni con Penderecki agli studi su Messiaen, al viaggio in Rajasthan, inseguendo la musica Qawwali e Sufi, e il compositore israeliano Ben Tzur, fino alle colonne sonore dei film di P. T. Anderson, “Il petroliere”, “The Master”, “Vizio di forma”.

È UNA grande vasca a forma di luna, “A Moon Shaped Pool”, il nuovo album dei Radiohead arrivato ieri sera alle 20 ora italiana in versione digitale, scaricabile (a prezzo fisso) dal sito della band e da varie piattaforme e fra qualche settimana (il 17 giugno) anche nei negozi trasformato in cd, disponibile poi in vinile e in “special edition”. Vi confluiscono i Radiohead più uguali e più diversi: più uguali perché non si discutono la voce di Thom Yorke, né il marchio di fabbrica che è il solido implacabile, estenuante eclettismo sonoro. Diversi perché più e più volte, anche a un primissimo ascolto dell’opera - attesa dai fan da ben cinque anni - si aprono, nelle sempre strane certezze delle progressioni dei brani cui i Radiohead ci hanno abituato, ancora nuove strade (secondarie ma celestiali), nuovi rivoli (di immaginazione, di jazz, di poesia) ancora sorprendenti. Ci sono molti archi, come c’erano nel singolo “james-bondiano” dal titolo “Spectre” snobbato dai produttori dell’ultimo kolossal e regalato dalla band ai fan all’ inizio di quest’anno. C’è anche un vecchio brano - “True Love Waits”, suonato la prima volta nel ’95 e incluso nell’Ep dal vivo “I Might Be Wrong: Live Recordings” (2011), vecchio brano che qui, a chiudere l’album, suona proprio come il manifesto di ogni nuova potenzialità acquisita dalla band. “True Love Waits” - forse proprio perché il vero amore sa aspettare - parte ai minimi, per lentamente sdoppiarsi, guidato dalla voce di Yorke, riprodursi attorno a se stesso in delicatissime divagazioni, prendere contemporaneamente con tocchi di tastiere tante altre strade, infine ricomporsi, e dissolversi. In quest’ottica altri brani appartengono al passato: “Ful Stop” e “Identikit” (già nei live di “The King”), “Present Tens”, già nei live degli Atoms.

IL DISCO si apre con il primo singolo già messo in rete dalla band nei giorni scorsi, quel “Burn The Witch” (brucia la strega) dal video animato e dedicato - stando alle parole del regista della clip, Virpi Kittu - alla riflessione del gruppo sulla pericolosità della crescente Islamofobia e sulla crisi dei rifugiati in Europa. Segue “Daydreaming”, il secondo singolo, già di culto grazie al video firmato da Paul Thoms Anderson. Video ovviamente bellissimo - in pianosequenza Yorke apre porte di stanze su scenari sempre diversi - che ha già raggiunto i tre milioni di visualizzazioni, e che ieri è stato inviato da Paul e Thom - in forma di vecchia “pizza”, in 35 millimetri - ad alcuni gestori di cinema Usa, e con l’invito alla proiezione in sala. Nell’album, poi, ovvero in questa vasca a forma di luna, basta niente per perdersi fra la California e l’India di “Desert Island Disk”, nella pazzesca “The Numbers”, in “Glass Eyes”, “Tinker Tailor ecc” o in “Identikit”, una “Idioteque” 3.0, verrebbe da dire un capolavoro. Eccoli i Radiohead 3.0, uguali ma diversi: implementati, arricchiti. Dal 20 maggio in tournée.