New York, 27 ottobre 2013 - A 71 anni  è arrivato lo stop. E non avrà nemmeno il tempo di rientrare sul palco. Doveva succedere, è successo. A primavera aveva subito un trapianto di fegato. L’ultima sfida per restare in vita. Ma Lou non ce l’ha fatta.

Lou Reed era nato a New York nel 1942. E a New York aveva costruito qualcosa di per sé straordinario dal punto di vista dell’avanguardia musicale e culturale. Non era solo. C’era anche Andy Wahrol. Era la Factory, dove i Velvet Underground, la band con Lou alla voce e alla chitarra, prendevano forma. E prima che il Sessantotto esplodesse con tutta la sua foga, i Velvet annunciavano l’arrivo del rock. Un disco bianco, una banana sbucciata disegnata da Wahrol, e una manciata di canzoni che avrebbero cambiato la storia della musica. Musica maledetta magari, maudit. Perché in 'Heroin' Lou cantava "it’s my life, it’s my wife" e lui stesso proprio per il modo di cantare quel pezzo, l’aveva definito come una forma antesignana del rap. Quei Velvet in cui Lou lasciava al microfono, per dedicarsi alla chitarra, alla biondissima Nico, modella e molto altro. Poi, come per molte altre band, vennero gli anni delle liti (tra Reed e John Cale c’erano infinite discussioni).

Ma Lou Reed ha saputo fare molto anche da solista. Soprattutto in quella Berlino, altra città fondamentale per la sua vita e per le avanguardie, in cui negli anni ’70 incrociò David Bowie. Un disco su tutti, un concept album 'Berlin' che Reed aveva deciso, per i suoi trent’anni nel 2007, di riportare in giro con un tour. E nel frattempo aveva fatto anche molto altro, continuando a incidere dischi e a scoprire talenti, come quando in un locale di New York si imbattè in Antony Hegarty, una voce, una storia. Da Antony sarebbero nati gli Antony and the Johnsons. Sempre un passo avanti altri, sempre a fare i conti con una vita maledetta. Non si era risparmiato. Anche se nella sua terza età aveva scoperto meditazione e tai-chi e con la moglie Laurie Anderson, anche lei artista (quella di 'Oh superman', il pezzo che accompagnava a fine anni ’80 le pubblicità per la lotta all’Aids), avevano fatto tour, in cui anche la poesia (come era sempre stato per Lou) assumeva un ruolo fondamentale.

Matteo Massi