Roma , 2 maggio 2012 - Pierangelo Bertoli ha rappresentato un pugno nello stomaco per la musica italiana. Per tanti motivi: innanzitutto per la schiettezza del suo carattere che si riversava anche nel suo linguaggio di cantautore. Poi per la sua condizione di disabile, dovuta alla poliomielite che lo colpì giovanissimo, che portava con naturalezza sul palco e quindi anche in televisione (non ci dimentichiamo che in anni precedenti un cantante come Luciano Tajoli veniva inquadrato apposta quando non si appoggiava al bastone). Quindi per la sua parabola musicale, dalle prime produzioni indipendenti alle incisioni per la major e al suo ritorno alle piccole etichette in contrasto con la discografia ufficiale.

Un ritratto del musicista di Sassuolo, scomparso nel 2002 a 59 anni, è tratteggiato nel libro curato da Mario Bonanno 'Rosso è il colore dell'amore' (Stampa Alternativa, 112 pagine con Dvd allegato, 20 euro). Un lavoro che nelle intenzioni dell'autore non vuole essere una biografia classica, ma un'occasione per fermarsi a capire quanto l'opera di Bertoli sia stata di stimolo per la scena musicale italiana. E per questo Bonanno si serve di testimonianze di prima mano, di riflessioni dello stesso Bertoli, e soprattutto di una discografia che molti considerano limitata al periodo di esposizione mediatica dopo la sua scoperta da parte di Caterina Caselli ('Eppure soffia', 'A muso duro', 'Certi momenti'). Prima e dopo queste produzioni e la sua presenza nel 1991 a Sanremo con i Tazenda ('Spunta la luna dal monte') esiste un mondo fatto di blues, di canzoni dialettali, tra espressioni intime e rabbia collettiva. Il Dvd con concerto dal vivo e intervista completa il ritratto del cantautore, che nelle pagine del libro rivive come una coscienza critica che oggi come non mai sarebbe stata molto utile.

Michele Manzotti