Il papà di Jessica: "La nostra vita con Golia, il cucciolo scampato a Rigopiano"

Adottato un mese dopo la strage da Mario Tinari, padre di una delle vittime della valanga

Mario Tinari con Golia

Mario Tinari con Golia

Vasto (Chieti), 19 febbraio 2019 - Golia scodinzola per uscire, nessuna voglia di tornare a cuccia. Gli occhi dolcissimi, il temperamento fiero del pastore abruzzese. Anche lui è uno scampato di Rigopiano. Ricordate i tre cuccioli salvati dai vigili del fuoco, quel segno di speranza e gioia cinque giorni dopo la valanga, quando ancora si scavava a cercare i superstiti? (Video). Ecco, questa nuvola bianca, sessanta chili di personalità, è uno di loro. Adottato un mese dopo la strage da Mario Tinari, papà di Jessica, morta a Rigopiano con il fidanzato Marco Tanda. Ripensa: “Erano i giorni dell’attesa, momenti terribili. Quando abbiamo visto uscire dalle macerie i cuccioli, salvati dai soccorritori, ci siamo rasserenati un po’. Abbiamo pensato, c’è ancora vita là sotto. In quel momento ho fatto una promessa a mia figlia. Ho pensato: Jessica, se torni a casa ti faccio trovare una sorpresa. Così ho deciso di adottare uno dei pastori abruzzesi sopravvissuti alla valanga”.

"I NOSTRI RAGAZZI" - Qui nella casa di Vasto tutto parla dei fidanzati. La cucina specchiata, nell’angolo le foto i fiori i pupazzi. Lui e lei insieme, belli giovani sorridenti. Jessica e Marco; Marco e Jessica, sembra impossibile pensare l’una senza l’altro. “Il vostro amore eterno sarà ricordato per sempre”, è la frase che incornicia i loro volti, che tenerezza vederli, guancia su guancia. Mario Tinari dice che quel giorno era seduto proprio qui con i ragazzi, come li chiama.

Marco, 25 anni, di Gagliole (Macerata), pilota d’aereo. Jessica, un anno di meno, estetista di Vasto, figlia unica adorata. Jessica e Marco; Marco e Jessica, sempre insieme, una cosa sola. Quel pomeriggio discutevano sulla vacanza a Rigopiano. Il babbo di lei insisteva, ma sarà il caso, con tutta questa neve. Ma loro avevano voglia di andare, non volevano rimandare perché poi c'era un altro viaggio in programma.

Avevano telefonato all’hotel, erano stati rassicurati sulle condizioni della strada. I nove chilometri maledetti, un muro di neve che il 18 gennaio di due anni fa ha condannato a morte 29 persone. Viaggiavano tanto, i fidanzatini che erano andati a Rigopiano per festeggiare i loro nove anni insieme, e non sono mai più tornati a casa. L’anno prima erano stati nel resort proprio per l’anniversario, il 4 febbraio.

Invece stavolta “Marco aveva le ferie a gennaio, così avevano anticipato”, racconta il papà di Jessica. Ripete: “Loro non torneranno. Io voglio giustizia. I responsabili di questo disastro devono essere rimossi dai loro incarichi. Sono persone indegne e incapaci di svolgere il proprio dovere”. Si tormenta: “Quel che è successo non deve ripetersi mai più. Per questo dico, chi ha sbagliato deve pagare. Bisogna dare l’esempio. Non capisco questa superficialità, la leggerezza, il menefreghismo...”.

"CATENA DI ERRORI" - Cos’hanno capito gli italiani della strage di Rigopiano? “Da quello che vedo, hanno capito che è stata una cosa assurda - risponde Mario Tinari –. Una strage che si poteva evitare. Dico sempre che c'è stata una catena di errori. I ragazzi dovevano partire martedì 17. Ma vedendo le previsioni meteo, ho consigliato a Marco di chiamare. Dopo la telefonata mi ha rassicurato, gli avevano detto che la viabilità era discreta”.

Quel giorno maledetto. “Il 18 gennaio ci siamo sentiti fino alle 16.20. Poi sono saltati i collegamenti”. Il volto si rabbuia: “La sera alle otto e mezzo stavo sopra, da mio fratello. In tv c’era un tg, sotto è comparsa la scritta, slavina sull’hotel Rigopiano. Ho fatto le scale di corsa, mi sono fermato davanti alla porta di casa prima di entrare, per rasserenarmi. Ho detto a mia moglie Gina, forse a Rigopiano è caduta una piccola valanga, ho cercato di minimizzare. Poi alle tre di mattino abbiamo deciso di partire ma siamo stati bloccati a Penne. E abbiamo capito che lassù non era rimasto più niente. Ripeto, le colpe sono di tante persone. Jessica e Marco sono arrivati in hotel alle 18-18.30 del martedì, sono stati bloccati al bivio Mirri, in attesa dell’ultimo spazzaneve che scendeva, puliva la strada e portava via anche qualche ospite. Poi nessuno è più riuscito a venire via”.

"SOPRAVVIVERE" - Svegliarsi la mattina, arrivare in cucina e vedere quelle foto... “Vado due volte al giorno a trovare mia figlia al cimitero - confida Mario Tinari-. Ci devo andare per forza. Se non lo faccio, mi manca qualcosa. Avevamo solo Jessica, io e mia moglie siamo stati stravolti. C’è un termine abusato ma mi posso permettere di dirlo, siamo morti anche noi. Jessica stava preparando i curricula, Marco doveva fare un corso comando, sarebbe stato sicuramente trasferito in un’altra base europea. E lei scriveva nelle varie lingue, è ancora tutto sul computer. Adesso non abbiamo più progetti, obiettivi, stimoli. Non vivi, sopravvivi e basta. Cerco di sorridere, scherzo, non è giusto che gli altri debbano sopportare il peso del mio dramma. Tanto il problema è mio. E ne sono anche geloso, lo custodisco per me. Vado a fumare in cantina, poi so cosa succede”.

La voce s’incrina, “non si può spiegare, chi ti sta di fronte è giusto che non lo capisca. Non si può dire, ci dovresti passare, per capirlo. No, non è giusto. È successo a noi, Lui ha deciso così”. Il desiderio di ottenere giustizia è un obiettivo per vivere? Risponde di getto: “Devo essere onesto? Per me no. La giustizia la voglio solo per far sì che non succeda più”. S’interrompe, lo sguardo di chi non vede una via d’uscita. Batte con la mano sul tavolo, come a mettere l’evidenziatore sulle parole: “Ma invece è successo ancora... Vedi il ponte Morandi... Ho perso ogni speranza su questa nazione. Dal Vajont ci sono stragi e c’è lo Stato di mezzo”.

LA FORZA DI GOLIA - Si sente abbaiare, Golia reclama la sua razione di biscotti e carezze. “Un giorno sono andato sul profilo Facebook di Jessica e ho trovato la foto di un imponente pastore abruzzese. Sotto c’era scritto, Golia, il guardiano di Campo Imperatore. Allora ho pensato, ecco, il nome l’abbiamo trovato, diciamo che l’ha scelto lei. Amava così tanto gli animali. Era una ragazza piena di sogni, di una semplice eleganza, ci tengo a dire così. Ho scoperto persone che fanno ancora tesoro dei suoi consigli. Sono orgoglioso di avere avuto questa figlia e anche Marco. Questi ragazzi sono stati un grande regalo. Meritavano di vivere ancora, hanno dato tanto agli altri".