Marzotto e i gioielli in mani estere: «Conta produrre valore in Italia»

Il manager difende il capitalismo familiare: gli inglesi ce lo invidiano

Matteo Marzotto e il Direttore Andrea Cangini

Matteo Marzotto e il Direttore Andrea Cangini

CORTINA D’AMPEZZO (Belluno) - MATTEO MARZOTTO, sesta generazione della storica famiglia vicentina, almeno quattro storie di impresa alle spalle, fallimenti cocenti e succesi imprevisti, è un talento con tante facce. Per questo, per il protagonista del terzo appuntamento al Cristallo di «Talenti, storie di imprese straordinarie», la parola chiave scelta è «multitasking». «Talento è una parola - replica sommessamente a chi lo ha inserito nella lista - troppo abusata. Non si misura con l’accumulo di denaro, con successi più o meno effimeri, con storie da copertina. A mio avviso dipende dal rimanere se stessi, dal ritagliarsi il proprio posto nel mondo. E poi essere sereni di aver dato buone prove di sè, per mantenere la faccia al sole. Io mi sento abbastanza sereno».

Matteo Marzotto, classe ’66, è presidente e azionista di Dondup, di Associazione Progetto Marzotto e di MittelModa Fashion Award.

SIA NEI LIBRI, sia nelle interviste, Matteo Marzotto parte dalla sua avventura come direttore generale e poi presidente di Valentino spa. E da quella fusione nel gruppo Marzotto, mosso da una logica industriale, di una griffe del lusso legata al suo creatore, a Valentino appunto. «Rilevammo la società dal gruppo Hdp della famiglia Agnelli nel 2002 - racconta il manager - e quando comunicammo i dati di bilancio, il titolo perse quasi il 50% del valore in appena 48 ore. Abbiamo trasformato una società quasi fallita in un marchio diventato icona, in sei anni abbiamo centrato tutti gli obiettivi. E a chi ci rimprovera la vendita ai fondi nel 2008, chi ci accusa di non aver sfruttato a pieno le potenzialità di un grande patrimonio, io replico che c’erano azionisti che avevano comprato le azioni Valentino a 5mila lire e le hanno vendute a 37 euro. Non è detto che la vendita sia stata la scelta migliore, anche considerando i problemi che poi sono seguiti. Ma una family company non poteva reggere l’assalto della concorrenza». Nemmeno il fatto che la griffe sia in mano al Qatar, assieme a tanti gioielli italiani finiti nelle casseforti straniere, preoccupa Marzotto. «Non c’è nessun depauperamento nazionale, niente è scappato in nessun luogo. Io vedo tanti marchi, tante imprese che creano valore e occupazione in Italia. E sono quasi più tranquillo che siano proprietà di gruppi internazionali, che in qualche caso sono paladini migliori del nostro saper fare. Perché il made in Italy l’abbiamo massacrato noi molto prima che ci fosse la Cina».

AGLI INGLESI e ai fondi della City che ci irridono per il nostro capitalismo familiare, l’imprenditore replica quasi beffardo. «Gli inglesi ci invidiano per le nostre imprese familiari, loro hanno distrutto tutto quello che avevano, sacrificandolo sull’altare della finanza. Ma con la finanza non si crea valore; lo si fa solo trasformando beni di servizio. E l’Italia è un terreno straordinario per invenzioni di aziende». Della parentesi «politica» all’Enit all’epoca del governo Berlusconi, in veste di presidente e commissario, Marzotto dice «nonostante una struttura sgangherata e organizzazioni non certo industriali, il turismo è una filiera straordinaria, che genera il 10,2% del nostro Pil e che ha attratto quest’anno 54 milioni di turisti stranieri».

RIGUARDO al presente, l’etichetta di multitasking è confermata. «Sono presidente di Dondup, un marchio di moda che ha notevoli potenziali, come quando avevamo Marlboro class nel bouquet Marzotto. Sono vicepresidente di Italian Exhibition Group, la società nata dalla fusione delle fiere di Rimini e Vicenza. In soli 7 mesi abbiamo creato il polo espositivo più grande d’Italia; una cosa che in 70 anni non era riuscita a nessuno, convincendo Comuni, camere di commercio ed enti gelosi della propria indipendenza. Stiamo preparando la quotazione in Borsa. Infine più di 20 anni fa ho contribuito a creare la Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica, per combattere una malattia grave che mi ha tolto anche mia sorella Annalisa. Faccio cose diverse, sono conscio del privilegio di essere nato bene, ho commesso anche errori. Ma mantengo la testa alta».