Benetton, il manager rivoluzionario: «Bisogna cambiare prima degli altri»

«Ho imparato la lezione di Porter a Harvard. E i fatturati crescono»

Alessandro Benetton e Andrea Cangini

Alessandro Benetton e Andrea Cangini

CORTINA D’AMPEZZO - OGNI UOMO D’AFFARI, industriale o finanziere che sia, ha un guru di riferimento, un testo sacro che gli indica la strada. Per Alessandro Benetton la bussola è Michael Porter, economista che rischiava di essere cacciato da Harvard perché non pubblicava nulla, poi collaborò con la presidenza Clinton e oggi dirige l’Istituto sulle strategie della competitività. «Quando tornai in Italia, fresco della laurea a Harvard - ha ricordato Benetton, iniziando la sua intervista per il ciclo «Talenti» - ero pieno di teorie sulla discontinuità, sulle idee collaterali e sul potere della grande distribuzione che avrebbe cambiato tutto. Proposi tante idee alla mia famiglia, mio padre mi ascoltò e mi rispose: ‘ti stimo per la tua indipendenza di giudizio, ma il modello Benetton è vincente e non abbiamo intenzione di cambiarlo’. Avevo la pretesa di insegnare il mestiere a loro, ma non andò bene. Quello che è accaduto dopo mi ha dato ragione come manager, ma ha fatto la mia sfortuna di azionista».

BISOGNA sempre ascoltare la poesia di Frost, percorrere la strada meno battuta nel bosco. E ricordarsi, come ha fatto il direttore di Qn Andrea Cangini, di Henry Ford: «Se avessi dato retta ai miei clienti, avrei costruito carrozze più morbide. Invece ho costruito auto». La discontinuità e l’intuizione sono le cifre dell’attività imprenditoriale di Alessandro Benetton. «Ho la fortuna di fare quello che mi piace. Ho creato «21 Investimenti» nel 1992, mettendo quel numero per anticipare il nuovo secolo. Siamo concentrati sull’attività produttiva delle aziende, ne vediamo potenzialità e punti di forza e gestiamo i cambiamenti prima degli altri. Non a caso siamo stati in grado negli ultimi 10 anni di raddoppiare o triplicare fatturati, come abbiamo fatto con i vini Farnese e con Pittarello». L’aver accettato la presidenza della Fondazione per i mondiali di sci 2021 a Cortina è stata una sfida. «Mi sarei sentito in colpa se non l’avessi fatto, dovevo restituire qualcosa al Paese. Abbiamo una squadra che avrà successo, che farà diventare Cortina un luogo migliore dopo l’evento, come è successo a Torino per le Olimpiadi e a Milano per l’Expo».

NON POTEVA mancare un ricordo di Schumacher, visto che con lui Benetton ha vinto tre mondiali di Formula 1. «Michael non l’ho scelto io, o Briatore. Si è scelto da solo, con quel suo esordio con la Jordan a Spa nel ’91 e l’exploit in prova da esordiente. Anche se in gara poi percorse solo 500 metri dopo la partenza. Noi l’abbiamo voluto come pilota anche per esigenze commerciali; ci serviva un tedesco come testimonial. Poi lui ha vinto il primo mondiale, pur avendo 80 cavalli in meno degli altri». Con la convinzione che la fortuna «è il momento in cui il talento incontra l’occasione», Alessandro Benetton saluta l’occasione di «Industria 4.0» per confermare il suo dogma: rivoluzione nella tradizione. Anche se replica con diplomazia a chi gli fa notare che la maggior parte del fatturato del gruppo di famiglia viene dalle concessioni più che dalle produzioni («bisognava avere intuito a investire sulle autostrade quando nessuno ci credeva»), è convinto che «fare impresa significa dare lavoro, sostenere famiglie, creare comunità. Se perdiamo questo paradigma è finita». Agli italiani serve un altro punto di vista. «Noi abbiamo la capacità - è la conclusione di Alessandro Benetton - di sapere cos’è il bello. Ci manca lo spirito di squadra, il disegno strategico che ci permetterebbe di battere i giganti».