di Mattia Todisco
I nomi nuovi nella squadra titolare dovrebbero essere solo tre, in compenso la rivoluzione in casa Inter è stata più profonda di quanto non dica il solo undici base. Questione di “peso specifico“ di chi è partito, oltre che di caselle da riempire. Lo spogliatoio ha perso alcuni punti di riferimento storici, non più utilizzati con grande continuità ma le cui parole avevano importanza nel gruppo perché pronunciate da chi l’Inter la conosceva bene. Handanovic è stato per annil il capitano, D’Ambrosio un senatore che nulla ha fatto per nascondere che avrebbe voluto chiudere la carriera in nerazzurro. Elementi rimpiazzati con più giovani pari ruolo, guardando ai compiti in campo, e il cui impegno per tramandare “l’interismo“ ai nuovi adepti verrà trasferito a Martinez, Barella, Bastoni, Dimarco, presenti nel ciclo di vittorie dallo scudetto contiano in poi e che in questi anni si sono tolti soddisfazioni cementando un gruppo che ha comunque mantenuto una parte dello zoccolo duro.
I punti di forza della squadra, sulla carta, potrebbero essere leggermente differenti. Sommer ha qualità nei piedi tale da poter sostituire Onana, ma il predecessore era un portento sotto questo aspetto, quasi un centrocampista tra i pali. Sarà diverso anche il centrocampo con Frattesi per Mkhitaryan, che è rimasto in rosa ma dovrebbe giocare meno e lasciare spazio all’azzurro. L’addio a Brozovic dovrebbe essere assorbito più facilmente perché il croato lo scorso anno è stato spesso ai box, tanto che ormai il regista titolare era diventato Calhanoglu. Infine l’attacco, in cui Thuram non potrà garantire le stesse caratteristiche di Dzeko. È più simile a Lukaku, altro giocatore che non vestirà più di nerazzurro. Per il belga vale il discorso fatto con Brozovic: dopo mesi e mesi di assenza, i titolari erano altri, per cui difficilmente si percepirà una mancanza tecnica con l’addio a “Big Rom“. Potrebbe avvertirsi di più quello di Dzeko, centravanti che oltre ai gol garantiva un apporto alla manovra perfetto per la filosofia tutta schemi e movimenti codificati di Inzaghi.
L’allenatore confermerà il suo 3-5-2 da cui ma si è discostato da quando è all’Inter. Il mercato è stato incentrato sull’idea di non modificare l’assetto, puntando anche quest’anno più sul palleggio che non sull’uno contro uno, caratteristica che pochi hanno in rosa. Cuadrado e Thuram, due dei volti nuovi, potranno sicuramente dare una mano in questo senso, sempre che il colombiano riesca a mantenersi a determinati livelli nonostante i 35 anni di età (probabile l’avvicendamento con Dumfries quando ci sarà bisogno di più stazza) e che il francese non soffra il contatto con un campionato per lui tutto nuovo dopo la lunga esperienza in Bundesliga con il Borussia Moenchengladbach. Inzaghi spera ovviamente che il processo di amalgama della sua nuova creatura avvenga molto rapidamente. L’allenatore piacentino arà il primo dai tempi di Mancini nel 200607 ad affrontare il terzo anno consecutivo sulla panchina dell’Inter. Già di per sé un traguardo che sottolinea la bontà del lavoro svolto, in una piazza che è incline a cambiare timoniere spesso, persino quando vince (vedi Mourinho e Conte che lasciano dopo due anni, sebbene per motivi differenti). Ha prolungato il contratto fino al 2025, in modo da non dover affrontare la stagione in scadenza. Sa di dover lavorare su due fronti: confermare l’ottima impressione destata a livello europeo, palcoscenico che la squadra ha calcato ben oltre le attese arrivando a giocarsi una finale di Champions da pari a pari con il Manchester City; contemporaneamente invertire di netto un trend negativo in campionato, mettendo alle spalle le dodici sconfitte della passata stagione e riproponendosi come una contender per lo scudetto, magari evitando passi falsi simili a quello di Bologna nel 2022 che costò il tricolore.