di Michael Cuomo
"Certi amori non finiscono". Adriano Galliani lo ha cantato a squarciagola nel giorno del ritorno di Ricardo Kakà al Milan. Farebbe lo stesso, oggi, dinanzi al suo Monza: un amore che non finisce, che non può finire, che non finirà e anzi, continuerà nel nome e nel segno di Silvio Berlusconi. È come se il presidente avesse aspettato la fine dell’opera per smettere di soffrire di ciò che la salute gli stava riservando. L’opera, l’ultima opera, l’ennesima opera, è una salvezza da record per una matricola di Serie A, arrivata abbinando bel gioco a risultati, una combo perfetta che in pochi, però, possono vantare. È ciò che più piace ai palati raffinati moderni, categoria di cui Raffaele Palladino è diventato quasi portabandiera: lui, scelto dal "nulla", all’improvviso, capace alla prima avventura tra i big di sorprendere tutto e tutti, fino al corteggiamento delle big. C’è stato un senso di gratitudine e rispetto, però, che lo ha fatto restare in sella al suo Monza, consapevole che ripetersi è sempre più difficile di sorprendere. Quel "nulla", però, era in realtà una stagione da record alla guida della formazione Primavera: così bella, così innovativa, da attirare la piena ammirazione di Galliani prima, del presidente subito dopo. Da Raffaele Palladino ripartirà il primo Monza del dopo-Silvio, che avrà un compito assai complicato: sognare qualcosa in più di una "semplice" salvezza - che semplice non sarebbe - senza la presenza sempre incisiva, e decisiva, del presidente. La mente non può che tornare alla freschezza di Ponte di Legno: sarà stata l’aria di montagna, ma alla parola "Europa" Adriano Galliani ne ha approfittato per lanciare un messaggio alla squadra. "È quello che voglio io - aveva risposto al coro "Galliani portaci in Europa -. Ora ditelo anche all’allenatore e ai giocatori…". Primo destinatario, capitan Pessina: altro perno dal legame indissolubile con l’ambiente e il territorio. Lui, "figlio di Monza", tornato a casa come fece Ricky a Milano anni dopo, ma qui con ancora più significato. Perché lui la maglia biancorossa l’aveva tolta per forza di cose a causa di un fallimento, tornando a indossarla per sedersi al tavolo della sala reale del nostro calcio. A lui il compito di guidare un gruppo che ha fatto dello spirito e dell’alchimia i suoi top player: un anno fa il Monza arrivava da un avvio avaro di vittorie e riuscì a tirarsi fuori con un filotto, quindi lo shock di Pablo Marì, accoltellato al centro commerciale in un normale pomeriggio in famiglia, fino al lungo ricovero del presidente nel momento clou della stagione, a lottarsela con Fiorentina, Torino e Bologna per un posto che si sapeva la situazione Juventus avrebbe dato valore. Poi c’è sempre la tattica, il modulo "gasperiniano" dalla difesa a tre, con due esterni sotto punta ai quali è richiesto un impatto non indifferente, con l’aggiunta di esperienza dietro e in mezzo - D’Ambrosio e Gagliardini - presa lì, dove è maturata la scorsa stagione la vittoria più romantica: Milano San Siro, avversaria l’Inter, in tribuna Adriano Galliani come in chissà quanti derby della sua lunga vita nel calcio. Quella volta, però, era ancora più speciale. Era questione di cuore. La storia di un amore che ha fatto giri immensi ed è ritornato, che a dire il vero non se n’è mai andato, e che passando dal dolore è ripartito ancora più forte.