"Ho perso la vista ma ho vinto gli Open, il Golf mi ha salvato"

Stefano Palmieri "Fino al 2002 praticavo Hockey e Calcio: poi una distrazione per il telefonino e il terribile incidente. Ora ho un tutor che appoggia il ferro alla pallina e mi dice dove è la buca."

Stefano Palmieri (Twitter)

Stefano Palmieri (Twitter)

IL BUIO oltre la siepe? Ma no: semmai la siepe del campo da golf oltre il buio! Meravigliosa è la storia di Stefano Palmieri, anni 45, toscano di Follonica, vincitore sul green del British Open, dell’Irish Open, del Japanese Open e degli Open d’Italia. Nella versione riservata ai non vedenti. «Fino al 12 agosto del 2002 praticavo calcio e hockey a rotelle a livello amatoriale – spiega Palmieri –. Poi guidando mi sono distratto con il telefonino. Incidente devastante, conseguenze tremende».

Perdita completa della vista. «La cecità assoluta è difficilissima da accettare. Ho passato momenti molto brutti. Poi mi ha salvato un cornicione… ». Un cornicione? «Pensavo proprio di non farcela. Un giorno mi sono detto: Stefano, o ti butti di sotto o provi a riprenderti pienamente la vita. Rifiutando la disperazione».

Ed è arrivato il golf. «Mi ha salvato lo sport. Ho iniziato con il podismo. Andavo a correre legato al polso di un amico, che mi faceva da guida. Ho disputato persino una maratona, una volta a Torino. Ci ho messo quasi cinque ore, ma è stata la mia ripartenza».

Aspettando il green e le diciotto buche. «Ho scoperto su Internet la storia di Andrea Calcaterra, un milanese non vedente che se la cava magnificamente con lo swing. Ho pensato: allora posso provarci anche io!».

Ma come fa un cieco a giocare a golf? «Ah, calcoli anche che per me è stato più complicato, rispetto a chi si dedicava a questa disciplina prima di ritrovarsi nel buio. Io avevo zero esperienze. Anzi, a livello mondiale sono una eccezione, sono l’unico ad aver iniziato con la mazza senza aver mai colpito una pallina da normodotato, diciamo così».

Non mi ha ancora spiegato come ci riesce, caro Stefano. «Ho cominciato con un bravissimo maestro di base, Simone Micciarelli. Dalla teoria sono passato alla pratica. Quando vado sul green, mi accompagna un tutor. A lui spetta il compito di fare da guida. Il tutor appoggia il ferro alla pallina, mi spiega dove è posizionata la buca, eccetera».

Dove si allena? «Sono socio del Golf Club Toscana, che mi sostiene nell’attività. Mi esercito al Pelagone di Gavorrano, un posto splendido nelle vicinanze di Follonica». I risultati sono buonissimi. «Mi rende orgoglioso essere stato premiato a Roma in occasione della Giornata Mondiale dei Valori, lo scorso autunno. A volte mi capita di battere anche golfisti normodotati! Mi aiuta e mi supporta l’associazione Golf Blind Italy. Attualmente il mio handicap è 31, debbo scendere a 22. Adesso sto cambiando il mio swing, voglio essere pronto per i prossimi appuntamenti».

Avete una Ryder’s Cup anche per voi? «Quasi. Esiste una nazionale dei golfisti disabili, appoggiata dal presidente della federgolf Chimenti. Io ne faccio parte. Ci sono i ciechi totali come me, gli ipovedenti, gli amputati eccetera. Nel 2018 ci saranno i campionati del mondo a Roma, in ottobre. Sono un grande obiettivo».

Immagino non l’unico. «Quando ho vinto l’Open in Giappone, gli organizzatori mi hanno detto che stanno dandosi da fare per ottenere l’inserimento del golf nel programma della Paralimpiade del 2020 a Tokyo. Se non sarà possibile per quella data, mi preparerò per il 2024».

Sia benedetto quel cornicione, caro Stefano. «Sa, a volte la vista bisogna perderla, per riuscire a vedere il valore vero della vita. Ora ho una famiglia, un figlio. E uno swing da migliorare, naturalmente!».