Martedì 16 Aprile 2024

Pietà Bandini, la sofferenza di Michelangelo

Firenze, nell’anziano Nicodemo il maestro ha trasferito il suo dolore sino ad arrivare a danneggiare l’opera prima di finirla. Iniziato il restauro

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di Olga Mugnaini

È la scultura più sofferta, di un uomo sulla soglia degli ottant’anni, malato e disperato. E in quel pezzo di marmo bianco ha trasferito tutto il suo dolore, oltre che il suo volto, raffigurato nell’anziano Nicodemo che sorregge Cristo deposto dalla croce. Michelangelo scolpì la Pietà Bandini, oggi al museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, tra il 1547 e il 1555. Lontana la dolcezza che aveva modellato nel viso della giovane Maria, nella Pietà in Vaticano, cinquant’anni prima. Ed è su questo struggente gruppo scultoreo che sono iniziati gli interventi di restauro all’interno del museo di piazza Duomo, visibili al pubblico con tanto di guida al fianco dei restauratori. Del resto, come sappiamo da Giorgio Vasari e Ascanio Condivi, quella scultura era destinata a un altare di una chiesa romana, dove l’artista avrebbe voluto essere sepolto.

Il Buonarroti non solo non termina quella Pietà, ma in un momento di sconforto tenta di distruggerla a martellate. L’opera danneggiata fu poi donata dallo stesso artista al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vende al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, per essere successivamente acquistata dal Granduca di Toscana Cosimo III de Medici. Gli interventi di restauro, iniziati lo scorso novembre, fu interrotto a causa del Covid-19. Ora è stato ripreso, con la possibilità di accedere al cantiere con i restauratori e gli esperti dell’Opera di Santa Maria del Fiore.

La prima pulitura della superficie sta riportando alla luce le cromie, frutto di precedenti trattamenti del marmo e dettagli non conosciuti della Pietà di Michelangelo, come i segni della lavorazione realizzati con strumenti diversi; o le impronte dei tasselli del calco ottocentesco, nascosti sotto uno spesso strato di depositi di polvere misto a cere, accumulate e modificate in oltre 470 anni di vita dell’opera.

Sulla base delle indagini diagnostiche, è stato deciso di procedere prima con delle prove di pulitura, per individuare la metodologia più idonea, e poi di iniziare l’intervento dal retro, dove era maggiore la presenza di depositi, utilizzando tamponi di cotone imbevuti di acqua deionizzata, leggermente riscaldata. Un metodo non invasivo, graduale e controllato. Per le cere è stato scelto la pulitura ad acqua con l’utilizzo di bisturi. Le tante sgocciolature sono dovute alle colature dei ceri posti sull’altar maggiore della Cattedrale di Firenze, dove l’opera è rimasta per 220 anni.

Il restauro, commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, finanziato dalla Fondazione non profit Friends of Florence, sotto la tutela della Soprintendenza, è affidato a Paola Rosa, con un’equipe di professionisti interni ed esterni all’Opera, tra cui Annamaria Giusti già direttrice del settore dei materiali Lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure. Per le visite guidate alla Pietà di Michelangelo, www.duomo.firenze.it