Cinquemila miliardi per gli obiettivi Onu "La maggior parte arriverà dal settore privato"

Gli impegni presi hanno dato un forte impulso all’attenzione del mondo finanziario

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Da qui a dieci anni, dovremo rendere conto al mondo delle nostre promesse sulla realizzazione dell’Agenda 2030, il programma d’azione per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (nella foto il segretario dell’Onu, Antonio Guterres), che comprende 17 obiettivi e 169 target da raggiungere entro il 2030, sottoscritti da tutti i 193 Paesi membri nel 2015.

Da quell’impegno è derivato un forte impulso all’attenzione della finanza per le tematiche ambientali e sociali, che molti emittenti stanno integrando nelle proprie politiche aziendali. L’Onu stima che per conseguire i 17 obiettivi entro il 2030 siano necessari ogni anno tra i 3 e i 5mila miliardi di dollari e che la maggior parte di questi investimenti debba giungere dal settore privato. Basterebbe quindi spostare su questi temi poco più dell’1% dei 382mila miliardi di capitali finanziari investiti nel mondo per riuscire a centrare gli obiettivi, ma siamo ancora ben lontani. In base alle analisi dell’Unctad, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio, dopo 5 anni di attività mancano ancora all’appello 2,5 mila miliardi di dollari all’anno di investimenti nei Paesi in via di sviluppo.

Gli obiettivi dell’Onu puntano a sollevare poco meno del 10% della popolazione mondiale – circa 700 milioni di donne e uomini – dall’estrema povertà nel prossimo decennio. Nel frattempo, la crisi climatica sta minacciando di oscurare tutte le sfide dello sviluppo e i progressi compiuti finora. Secondo la Banca mondiale, l’impatto dell’emergenza climatica potrebbe costringere oltre 140 milioni di nuovi migranti a lasciare le loro case entro il 2050. Il mare, principale sistema di supporto vitale del pianeta, è sottoposto a pressioni senza precedenti, con implicazioni gravi per il 40% della popolazione mondiale che vive a meno di 100 chilometri dalla costa.

Il Fondo Monetario Internazionale stima che i Paesi in via di sviluppo avranno bisogno, in media, di una spesa aggiuntiva di 15 punti percentuali di Pil in istruzione, sanità, strade, elettricità, acqua e servizi igienico-sanitari nel 2030 per far fronte alla crisi. È chiaro che rimane un enorme divario tra ambizione e azione.

"Malgrado questo ampio divario, i mercati dei capitali internazionali non hanno mai visto tanti miliardi di dollari investiti nello sviluppo sostenibile come oggi", sostiene l’Ocse nelle raccomandazioni uscite dalla recente Conferenza sulla Finanza Privata per lo Sviluppo Sostenibile. I governi, dice l’Ocse, sono i principali responsabili della realizzazione dell’Agenda 2030. Le politiche e le normative pubbliche devono essere rielaborate per favorire investimenti pubblici e privati allineati con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. "Non possiamo aspettarci l’allocazione di capitali verso lo sviluppo sostenibile se non incentiviamo investimenti a lungo termine, responsabili e verdi con delle politiche mirate", rileva l’Ocse.

La buona notizia è che le grandi società quotate si stanno già orientando verso pratiche aziendali più sostenibili. Gli investimenti ambientalmente e socialmente sostenibili (Esg) sono cresciuti in modo significativo negli ultimi anni, salendo a quasi 18mila miliardi di dollari di asset, con ulteriori 6mila miliardi di dollari in investimenti che includono alcune componenti Esg. Dimensioni così importanti suggeriscono chiaramente che non ci troviamo di fronte a una moda passeggera. Gli investimenti a impatto sociale e ambientale stanno diventando sempre più importanti per gli investitori tradizionali.

Travis Spence, numero uno di JP Morgan Asset Management, ha recentemente sottolineato un grande cambiamento nel dialogo sugli investimenti Esg, che da un" "fiore all’occhiello" sono diventati un “must” nei portafogli d’investimento. I criteri Esg, secondo Spence, stanno diventando i principali driver che modellano i portafogli. Tuttavia meno del 6% di questi investimenti è diretto a servizi sociali come l’istruzione e la salute, mentre la maggior parte è diretto a finanziare infrastrutture. Questi flussi, dunque, sono già un grande progresso, ma risultano chiaramente disallineati con l’obiettivo di non lasciare indietro nessuno.