Martedì 16 Aprile 2024

Leggendario Maldini

Paolo aveva vinto scudetti da calciatore. Ora trionfa da dirigente

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di Giambattista Anastasio

Come Napoleone dal Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar, così Paolo Maldini: dal campo alla scrivania senza distinzione alcuna, sempre di conquista in conquista, di successo in successo e di impresa in impresa. Non c’è “5 maggio“ che Maldini possa temere, che se lo giochi da calciatore con la fascia da capitano al braccio o da dirigente in giacca e camicia. E pensare che quando ha esordito in Serie A, il 20 gennaio 1985, a soli 16 anni, sul campo di Udine, c’era chi credeva che non fosse ancora pronto, chi dubitava di un fatto che questo successo rende evidente: il Paolo, figlio di Cesare, è nato pronto. A credere il contrario non era uno qualunque ma un altro di quelli che sarebbe poi entrato nella storia del Diavolo: quel Fabio Capello che pure lo conosceva bene perché allora era il suo allenatore, l’allenatore della Primavera del Milan. Sappiamo tutti come è andata a finire: in quel freddo giorno di gennaio iniziò una carriera più unica che rara, scandita da 26 trofei. La carriera di una leggenda vivente del Milan e del Milanismo, del calcio italiano e mondiale, la carriera dell’ultima grande bandiera rossonera.

Nonostante cotanti trascorsi, un certo scetticismo non è mancato nemmeno 34 anni più tardi, quando, il 14 giugno 2019, è stato nominato direttore dell’area tecnica del Milan dopo aver ricoperto l’incarico di direttore strategico dell’area sport. Da quel giorno non sono passati neppure 3 anni. E il Milan, il suo Milan, per natura destinato ad oscillare tra gloria e periglio, reggia e tristo esiglio, è dove non stava da (troppo) tempo: sull’altar, il più alto di tutti tra gli italici altar. I meriti di Maldini, questa volta, stanno anche in ciò che non ha fatto. O, meglio, in ciò che sarebbe stato più popolare fare e invece non ha fatto. Non ha ceduto alle suggestioni che accompagnavano e spingevano Ralf Rangnick sulla panchina rossonera. Il tedesco sembrava destinato ad essere il nuovo profeta del Milan, sulle orme di Arrigo Sacchi, che seppe essere profeta persino in patria. Il successo di oggi nasce dalla scelta fatta due anni fa da Maldini insieme al resto della dirigenza: dire no alle suggestioni, al fashion, alle richieste del tedesco e badare, invece, ai risultati ottenuti da Stefano Pioli da Parma, patria più vicina a Fusignano di quanto lo sia Backnang.

Una vicinanza non solo geografica, quella tra Sacchi e Pioli, ma anche spirituale: entrambi preferiscono cercare risposte e soluzioni nel gioco e nel collettivo. Facile dirlo ora. Due anni fa, invece, per Maldini e la dirigenza sarebbe stato più semplice dare ai tifosi – e a se stessi – ciò di cui i tifosi e tutti noi viviamo: suggestioni! La suggestione di un ritorno ai fasti del passato attraverso il ritorno al nuovo che avanza. Invece no: di gradino in gradino si sale la scala, soprattutto le scale a Pioli, che mancano del corrimano. La conquista dell’Europa League nella stagione 2019-2020 fu giustamente interpretato come il primo gradino della scala, la conquista della Champions League l’anno scorso è stato il secondo, il ritorno alla Scala, questo scudetto invece è... no, non può essere la definitiva consacrazione del percorso perché il Milan per definizione e per vocazione guarda da sempre con grandi occhi alla Coppa dalle grandi orecchie.

Facile sarebbe stato per Maldini – Professore Emerito di Etica dell’Appartenenza alla Maglia e alla Causa – dare a Donnarumma e a Çalhanoglu quello che l’uno e l’altro avrebbero meritato di avere: non l’ingaggio che chiedevano (ora è più che mai evidente che di loro si potesse tranquillamente fare a meno) ma certe parole. Ingrati e infedeli in modo diverso. Maldini ne dedica solo alcune a Gigio. Garbate, però. Per un verso comprensive, per altro verso semplicemente constatative: prende atto di quella secolarizzazione della maglia e del pallone che ha portato Gigio da Milano a Parigi. Non ne ha dedicata alcuna al turco: "Preferisco non commentare". Un signore, certo. Ma. soprattutto. un uomo spogliatoio: poche parole fuori, tanta presenza, tanta positività e tanta voglia di “trasmettere Milan“ dentro. Così Maldini ha fatto del Milan 2021-2022 non la squadra più forte di tutte, ma la squadra più squadra di tutte. Scommettendo in prima persona su ragazzi che, proprio come lui quel 20 gennaio 1985, non sembravano pronti per certe ribalte: Kalulu, Tomori e quel Theo che con quel cost-to-cost all’Atalanta lo ha fatto scattare in piedi, il pugno alzato al cielo, gli occhi colmi di gioia come fosse ancora un ragazzino. Un ragazzino nato pronto, pronto a tutto. Ma non a rinunciare ad un amore chiamato Milan.