Martedì 23 Aprile 2024

Da Ibra a Ibra, 11 anni dopo

Zlatan l’unico reduce dell’ultimo scudetto vinto nel 2010-2011

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di Ilaria Checchi

Undici anni dopo, con la maglia numero 11 indosso, Ibra ha compiuto l’ennesima impresa all’alba delle41 primavere: con il diciannovesimo scudetto appena conquistato, è diventato il primo straniero a vincere un Tricolore per il Milan con uno stacco di oltre un decennio. Da Ibra a Ibra, lo scudetto del Diavolo rappresenta la chiusura del cerchio, con lo svedese unico reduce dalla squadra titolata della stagione 201011, in cui realizzò 14 gol in 29 presenze al servizio di Allegri: quello era un grande Milan, fermato agli ottavi di Champions League dal Tottenham ma capace di trascinare i tifosi rossoneri verso la vetta della serie A, merito soprattutto dell’ultima, vera grande operazione di mercato del tandem Berlusconi-Galliani che sul gong della sessione estiva riuscì a prendere Ibrahimovic, puntando alla sua voglia di riscatto dopo l’annata negativa al Barcellona. Mai mossa fu più azzeccata e 11 anni dopo uno Zlatan più maturo ma con la stessa fame di un tempo ha condotto il giovane Milan verso un’impresa per cuori grandi e forti come il suo.

Dopo una stagione falcidiata dagli infortuni (necessario l’intervento chirurgico al crociato pochi giorni fa), lo svedese si è reso protagonista in campo (gol a parte) con un assist prepotente e dosato per Tonali nell’1-2 segnato alla Lazio, match considerato il punto di svolta del Diavolo nella volata finale. Zlatan è ancora qui, 11 anni dopo, a tendere la mano a un gruppo sbarbato ma ambizioso: dopo aver preso consapevolezza della propria condizione fisica e dei limiti imposti dalla carta d’identità il suo ruolo ha subìto una naturale trasformazione, passando da bomber famelico a punto di riferimento mentale e carismatico nello spogliatoio. "Sono molto orgoglioso di tutti voi. Adesso, però, fatemi un favore: festeggiate come campioni perché Milano non è Milan, Italia è Milan!" le parole del bomber rivolte ai compagni dopo il trionfo di Reggio Emilia, il cui incipit, ridendo, è stato: "Tranquilli non smetto, non è un annuncio".

Il discorso post scudetto è proseguito così: "Non è stato facile, ma abbiamo lottato come un gruppo. All’inizio nessuno ha creduto in noi e invece siamo diventati più forti". Il percorso di crescita della squadra è partito, infatti, dal ritorno di Ibra a Milanello che, due anni fa, ha trovato una squadra da dover prendere per mano e instradare verso una maggiore sicurezza nei propri mezzi: come un padre con i suoi figli, dunque, Zlatan si è diviso tra lavate di capo, allenamenti duri, discorsi motivazionali nello spogliatoio e la giusta concretezza sotto porta, fino a quando il Milan non ha capito di poter camminare sulle proprie gambe anche senza di lui in campo. Nessuna parola descrive meglio il valore di Ibra per il gruppo come quelle dedicategli da Tonali: "Zlatan dà sicurezza, basta che ci sia. Vederlo seguire la partita in piedi in panchina vale più di mille gesti. Decide per sé e per noi, potrebbe starsene nel suo e invece è un campione che pensa prima agli altri. Spero continui: alza il livello, è determinante in campo e fuori".

Complice la prima delle due infiammazioni stagionali al tendine d’Achille, nella vittoria di Bergamo dello scorso ottobre (3-2) lo svedese non c’era nemmeno a bordo campo perché stava festeggiando i suoi primi 40 anni a Milano e forse quella partita può essere presa come data simbolica per il processo di "de-zlatanizzazione" del gruppo: come un bravo insegnante, Ibracadabra ha trasmesso i suoi valori, la sua professionalità e il suo credo ai vari Leao, Tonali o Diaz, giovani da forgiare per trasformarli nei campioni di domani. Il suo ritorno a Milanello è stato salvifico per il club che ha voluto richiamare alla base lo svedese chiedendogli esattamente questo: diventare un leader oltre che un educatore, e nella stagione attuale, comunque, l’apporto da puro attaccante non è mancato: 8 le reti messe a segno che hanno avuto il loro peso specifico per lo scudetto.

Portato a casa l’ennesimo titolo della sua storia, per Ibra è giunto il momento di decidere del proprio futuro: "Per andare avanti devo stare bene, a tempo debito darò le mie risposte. Prima devo fare qualcosa. Se starò bene quella col Sassuolo non sarà stata la mia ultima partita". Sotto i ferri c’è finito davvero, adesso deiderà cosa fare fra 8 mesi. Le porte di Milanello restano aperte, che sia in campo, in panchina o dietro a una scrivania, perché nessuno vuole perdere un talento capace di incidere in mille modi diversi: le pagine da scrivere sono ancora tante e lo svedese deve scegliere che tipo di inchiostro usare.