La civiltà delle macchine, contaminazioni leonardiane

Rinasce la rivista nata nel 1953 con l’ingegnere Leonardo Sinisgalli. L’obiettivo è lo stesso: far incontrare tecnologia, scienza e umanesimo

Ultramoderno Leonardo da Vinci, identikit ricostruito da Grit Schüler

Ultramoderno Leonardo da Vinci, identikit ricostruito da Grit Schüler

Contaminare umanesimo, tecnologia e scienza per riflettere sul presente. Adesso come 66 anni fa. Le ragioni che hanno portato alla rinascita della rivista di Civiltà delle Macchine sono le stesse di allora, quelle di un periodo in cui l’Italia era presa dalla ricostruzione. La Fondazione Leonardo, costituita da qualche mese, rinnova così il progetto editoriale che nel 1953 l’allora direttore generale di Finmeccanica, Giuseppe Luraghi, decise di affidare a Leonardo Sinisgalli, ingegnere, poeta, matematico e primo direttore della rivista. Collaborarono al progetto molti personaggi della cultura italiana, tra cui Giuseppe Ungaretti, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Arturo Tofanelli, Giuseppe Luraghi, Enzo Paci, Giansiro Ferrata. IL NOME della pubblicazione trimestrale rimane quello originario ed è un incontro felice tra due parole: “Civiltà” che rappresenta le conquiste di una società che raggiunge un livello culturale evoluto e “Macchine” che simboleggia il lavoro della mente dell’uomo, capace di realizzare congegni sempre più perfezionati per compiere lavori, spesso straordinari, con risparmio di fatica e di tempo. E non si può parlare di contaminazione tra umanesimo e scienza senza parlare di Leonardo da Vinci: nella copertina della nuova rivista troviamo l’identikit di Leonardo del Forensisches Institut Zürich e, all’interno, un corposo approfondimento sulle macchine leonardiane. L’obiettivo del primo numero e dei successivi è infatti far dialogare scienza e umanesimo proprio oggi, nella fase del pieno sviluppo tecnologico. «In un mondo profondamente cambiato e che affronta la “rivoluzione digitale” - spiega Alessandro Profumo, amministratore delegato di Leonardo - le motivazioni per la rinascita di Civiltà delle Macchine sono le stesse di 66 anni fa: riflettere sul rapporto tra scienza, tecnologia e uomo e creare un luogo di incontro interdisciplinare e aperto alla contaminazione tra mondi in apparenza distanti, ma in realtà profondamente interconnessi. Sono convinto che questa seconda vita della rivista potrà essere utile per tutti noi, favorendo così la nascita di un ‘umanesimo digitale’, in cui il saper fare sia importante almeno quanto il saper pensare, per crescere umanamente e professionalmente e per arricchire le comunità in cui viviamo». Ma c’è un estratto di una lettera che Giuseppe Luraghi inviò nel 1954 a Leonardo Sinisgalli (citato da Alessandro Profumo nell’editoriale che apre la nuova rivista) che descrive bene gli intenti della pubblicazione: «Non esiste in Italia né, credo, altrove una pubblicazione come questa, in cui vediamo il poeta stupirsi di una caldaia a vapore, l’ingegnere godersi i meccanismi di vecchi catenacci, l’architetto escogitare alfabeti nuovi, il matematico creare topi elettrici, il pittore bambino raffigurare fate e angeli al posto di macchine e uomini. È il gioco pericoloso della vita visto in un castello incantato, la bellezza dello stupore e dell’ottimismo: i numeri si trasformano in magici segni pieni di mistero, perdono la loro aridità tradizionale per rivestirsi di un nuovo fascino e le cifre della produzione dell’acciaio, le formule costruttive, i guai dell’esportazione, i bilanci, cioè i nostri guai di tutti i giorni che ci fanno patire e maledire, nella tua atmosfera si tramutano in amici cordiali, semplici e un tanto trasognati». CIVILTÀ DELLE MACCHINE, del resto, nel 1953 era un giornale controcorrente e anche oggi ha l’ambizione di esserlo , «controcorrente perché fa dialogare ciò che è diverso – spiega Peppino Caldarola, il direttore della rivista - perché ama la parola ragionata e non quella urlata, cerca un nuovo umanesimo nelle lettere e nella scienza. Non avrà limiti nell’esplorare i prodotti del pensiero, dei sogni, delle invenzioni. La cultura è l’unica nostra tesi e dà gioia».