Giovedì 25 Aprile 2024

Il pittore che in pittura riguarda chiunque lo vede

Paola Salvi esamina il famoso “autoritratto” conservato a Torino: “raffigurandosi, Leonardo stabilisce con i posteri un’ideale continuità”

Luigi Ontani,“LeonArdo”,1970

Luigi Ontani,“LeonArdo”,1970

Come noto, nel 1517-1518 Leonardo era in Francia e si applicava, tra le altre cose, a studi geometrici, di stelle curvilinee e di lunule. Su uno dei fogli dedicati a questi soggetti, il 309 verso del Codice Atlantico, ha scritto di una caratteristica della pittura, cioè che il punto di vista secondo cui una figura è stata dipinta resterà sempre lo stesso, anche se quello dell’osservatore si troverà a cambiare. La nota è introdotta da una frase particolarmente intrigante e moderna: Quel volto che in pittura riguardò in viso al maestro che lo fa, riguarda sempre tutti quelli che lo veggano. L’opera di Giulio Paolini Giovane che guarda Lorenzo Lotto (1967) è una trasposizione letterale di questo precetto. Se pensiamo ad un autoritratto, tuttavia, il volto che guarda “in viso il maestro che lo fa” è il maestro stesso. Nel 1517 circa, mentre ci lasciava questa riflessione, Leonardo tracciava a sanguigna anche il suo Autoritratto, stabilendo quindi con i posteri una continuità ideale. Quel volto conservato presso la Biblioteca Reale di Torino, ed ora esposto nella mostra “Leonardo da Vinci. Disegnare il futuro” (fino al 14 luglio) altri non è, infatti, che Leonardo stesso, che “riguarda sempre tutti quelli che lo veggano”. Realizzato su carta di buona consistenza, che nel tempo ha sofferto per l’eccessiva esposizione alla luce, il disegno presenta un’organizzazione dell’immagine tipica di Leonardo, con parti più definite e altre solo abbozzate, e una significativa concentrazione sullo sguardo, che sembra diretto verso destra in virtù dell’espressione assorta e delle cospicue sopracciglia. In realtà entrambi i globi oculari sono ruotati verso sinistra (per chi osserva), proprio nella posizione in cui si vanno a collocare gli occhi di chi, con il volto posizionato di tre quarti, si guardi in uno specchio. IL SEGNO della pietra rossa (oggi più semplicemente nota come sanguigna) segue le forme da rappresentare, con tracciati curvilinei e rettilinei, con parti più dense e altre più rarefatte. Lo stile del disegno si trova in fogli del periodo francese, dalla serie del Diluvio a schizzi raffiguranti la Loira ad Amboise. Nel rappresentare i lunghi capelli e la barba, il segno segue le rotondità e le convessità delle ondulazioni, come fa anche, in maniera più diligente e meno espressiva, l’allievo che ha disegnato il famoso volto in profilo conservato a Windsor, tradizionalmente considerato un ritratto di Leonardo poco più che cinquantenne. Proprio con questo disegno, a mio avviso complementare all’Autoritratto torinese nel tentativo di fissare il volto del Vinciano, si è innescato nel tempo un serrato confronto. Nel 1989 lo studioso Martin Kemp, attribuendolo a Francesco Melzi, ne spostava l’esecuzione al 1515 circa (cioè quando l’artista aveva almeno sessantatre anni). Emergeva a questo punto una discrasia con l’Autoritratto di Torino, aggirata, si fa per dire, con la ‘retrocessione’ di quest’ultimo ad un generico disegno della fine degli anni ottanta del Quattrocento, mentre al profilo di Windsor veniva assegnata la palma di autentica effige del Maestro. Veniva però trascurata una fonte importante che testimonia l’aspetto di Leonardo nell’ultima fase della vita: il resoconto di Antonio de Beatis, il quale, al seguito del Cardinale Luigi d’Aragona, aveva incontrato Leonardo il 10 ottobre del 1517, descrivendolo nel suo Itinerario come “veghio de più de LXX anni”. Nel 1515, quindi, non poteva avere l’aspetto del foglio di Windsor. Ciò nonostante, al di là della Manica veniva consolidato il primato di tale disegno e anche in Italia alcuni studiosi seguivano questo nuovo corso. Lo spostamento cronologico del profilo di Windsor agli anni dopo il 1515 è condivisibile, ma non entra in contraddizione con l’Autoritratto torinese. Come avevano già indicato gli studiosi Kenneth Clark ed Emil Möller, il primo è una copia da un originale di più di 10 anni prima, quando Leonardo poteva credibilmente avere quell’aspetto. Dopo il confronto diretto dei due disegni nel 2011 - avvenuto nella mostra “Leonardo. Il Genio, il Mito” tenuta alla Reggia di Venaria Reale, dove è apparso chiaro che nei due fogli è raffigurata la stessa persona a due età diverse -, e gli studi più recenti, ritengo che entrambi facciano parte di un progetto iconografico guidato dallo stesso Leonardo. CON LA PERIZIA che gli consentiva di realizzare fedeli copie dagli originali, l’ultimo allievo, Francesco Melzi, ne ha eseguita una da un autoritratto in profilo di dieci anni prima circa, operazione che sembra essere stata supervisionata dallo stesso Leonardo, che ha ravvivato il fluire dei capelli con interventi diretti nella parte finale della chioma. Intanto il Maestro ha realizzato il suo Autoritratto autografo, in cui le tracce dell’età non sono state dissimulate, ma accolte come segno di una vita spesa nello studio e nella riflessione. Le due immagini che ci sono giunte, che ritengo di poter considerare coeve nella realizzazione, coincidono così con le due descrizioni più note dell’aspetto di Leonardo. Una è in un manoscritto conosciuto come “Anonimo Gaddiano” (Biblioteca Nazionale di Firenze) e testimonia l’aspetto del Maestro negli anni fiorentini intorno al 1505 circa (poco più che cinquantenne): “Era di bella persona proportionata, gratiata et bello aspetto [...] aveva fino al mezzo in petto una bella capellaia et anellata et ben composta” (come appare nel disegno di Windsor). L’altra si trova in un testo di Giovan Paolo Lomazzo del 1590 (Idea del tempio della pittura): “Ebbe la faccia con Ii capelli longi, con le ciglia e con la barba tanto longa che egli pareva la vera nobiltà dello studio” (come appare nell’Autoritratto di Torino).