Palazzo Reale come l’arca di Noè e Leonardo ci sale con un gatto

La sala delle Cariatidi si trasforma in una foresta popolata da animali

equivalenzA di superfici  e disegno di un Felino - Leonardo da Vinci - Codice Atlantico

equivalenzA di superfici e disegno di un Felino - Leonardo da Vinci - Codice Atlantico

Cicogne e armadilli, cinghiali e istrici, leoni e struzzi: la Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale di Milano diventerà presto una suggestiva foresta delle meraviglie popolata dagli animali più affascinanti ed esotici. Anche da un gatto disegnato da Leonardo e riconoscibile nel codice Atlantico. Come in una moderna Arca di Noè, ci saranno due esemplari per specie: uno impagliato, proveniente dal Museo di Storia Naturale, dall’Acquario di Milano o dal Muse di Trento, e il suo conspecifico dipinto sulle tele del Ciclo di Orfeo proveniente da Palazzo Sormani. La scenografia è di Margherita Palli, allieva di Luca Ronconi, e la consulenza dei conservatori dei citati musei scientifici milanesi, che hanno identificato tutte le specie rappresentate nel ciclo pittorico secentesco. Pochi gli animali rimasti spaiati, tra questi un unicorno, di cui nei musei italiani non si è trovato alcun esemplare imbalsamato. L’occasione è la mostra “Il meraviglioso mondo della natura”, a Palazzo Reale dal 13 marzo al 14 luglio. Le ventitré tele attorno a cui si costruisce l’esposizione, in totale quasi 250 metri quadrati di pitture, compongono una delle opere milanesi assieme più affascinati e misconosciute, fino ad ora apprezzate solo da un pubblico di specialisti. Per ammirarla bisognava partecipare agli incontri accademici o presentazioni di libri organizzate nella Sala del Grechetto di palazzo Sormani, e non era raro in quelle circostanze vedere il pubblico alzare ozioso il capo e perdersi nella boscaglia oscura e fitta che tappezzava le pareti, con buona pace dei conferenzieri. A UNO SGUARDO distratto le tele sembravano nate per quel luogo, in realtà si trovano lì dal 1877, cioè da quando Carolina Verri Sormani si trasferì da Palazzo Visconti-Lunati-Verri in casa del marito, Palazzo Sormani appunto, sede dell’attuale Biblioteca. In quell’occasione volle portare con sé il ciclo di pitture e adattarle al nuovo ambiente, manomettendole pesantemente. Un tempo attribuite al Grechetto, le tele furono in realtà commissionate negli anni ’70 del Seicento da Alessandro Visconti a due pittori che la storica dell’arte Vittoria Orlandi Balzari ha individuato essere il fiammingo Livio Mehus e il polacco Pandolfo Reschi. «Entrambi stranieri ma di gravitazione fiorentina», spiega Giovanni Agosti, curatore con Jacopo Stoppa della mostra, «erano attivi alla corte granducale. Il committente era il capocaccia del Granduca Ferdinando de Medici. Quindi l’interesse per queste bestie nasce anche dalla sua passione venatoria». L’OBIETTIVO della mostra di Palazzo Reale, che tenta di riprodurre la disposizione originaria delle tele, è anche quello di trovare fondi per restaurare l’opera in vista di una nuova collocazione che la valorizzi al meglio. Nella prima sala della mostra verrà esposto un disegno di Leonardo contenuto nel Codice Atlantico raffigurante un gatto impegnato in una difficile contorsione, affiancato dall’“Historia plantarum”, codice tardogotico lombardo ricco di illustrazioni botaniche e zoologiche. Dal confronto sarà evidente la novità introdotta all’epoca di Leonardo: se fino a quel momento il soggetto animale veniva ripreso da modelli grafici preesistenti o a partire da un animale morto; l’artista rinascimentale ha sottratto il suo animale al fluire incessante della vita. «LEONARDO è un po’ un “prologo in cielo” della mostra», spiega Agosti, «Non è il primo e non sarà l’ultimo a farlo, ma lui si mette in gara con la natura nella rappresentazione dell’istantaneità. Nella sua “Madonna del Gatto” conservato al British Museum, l’animale che sta nelle mani del bambino è vivo, si muove. Leonardo fa proprio, riempiendolo di nuovi contenuti, un atteggiamento di cui iniziavano a emergere delle tracce nel secolo in cui è nato». Questo nuovo atteggiamento non è altro che l’intuizione di dipingere gli animali copiandoli dalla realtà viva e in movimento: «È molto difficile far stare fermo un gatto per ritrarlo. Per ovviare a questa difficolta nel Medioevo si usavano come modelli schemi preesistenti o animali morti. Già nel quindicesimo secolo Pisanello aveva rappresentato cavalli e scimmie dal vero, cominciando a superare l’uso medioevale. Leonardo, che come è noto è caratterizzato da una grande attenzione al dato naturale, contribuisce ad affermare questo nuovo uso». Se ad accomunare il lavoro del genio toscano e l’opera commissionata da Alessandro Visconti c’è lo stesso gusto enciclopedico per zoologia e botanica, a separarli ci sono più di 150 anni di storia. E un dettaglio: «Leonardo al contrario di Alessandro Visconti non sarebbe mai andato a caccia» ricorda Agosti «liberava gli uccelli dalle gabbie, era vegetariano: due mondi agli antipodi».