Il grande Mario Botta a lezione da Leonardo fautore di modernità

“La sua città ideale e le sue concezioni robotiche premesse di una rinnovata architettura umanistica"

Derivazione dagli automi di Leonardo, le architetture “intelligenti” del prossimo futuro

Derivazione dagli automi di Leonardo, le architetture “intelligenti” del prossimo futuro

Celeberrimo internazionalmente, elvetico con radici a Mendrisio, continuatore di schiere di bravissimi costruttori e capimastri emigrati dalla Svizzera italiana a lavorare nel mondo, Mario Botta è un architetto “umanista”, che non si sente fuori dal nostro tempo della specializzazione. Perché? «Proprio per affrontare la complessità della globalizzazione, possono rivelarsi insufficienti le soluzioni esclusivamente tecniche dell’abitare. È necessaria più filosofia, più storia, e storia dell’arte, anche in un’architettura che ripensi l’uomo nel suo rapporto con il territorio, e con la memoria del territorio». Così Leonardo torna d’attualità? «Infatti, 500 anni dopo, riscopriamo la fondamentale trasversalità del suo sapere, e riconsideriamo certe soluzioni molto approfondite che ci ha lasciato, pur senza aver costruito quasi niente». Per esempio? «La sua concezione di edificio a pianta centrale sarà ripresa e sviluppata dal barocco, soprattutto in ambito ecclesiale. Ma è la stessa su cui insiste Louis Kahn. Questo grandissimo del XX secolo ha riscoperto il valore celebrativo, istituzionale, dell'invaso centrale, con intorno la corona delle funzioni specialistiche, e lo ha applicato nella biblioteca a Exterer negli Usa, e nel parlamento di Dacca, capitale del Bangladesh: le stanze, i percorsi, gli spazi della vita e delle funzioni si associano per diventare architettura, un’architettura che ritrova nella storia il valore dato dagli uomini al loro associarsi e ritrovarsi negli edifici». Mentre la città ideale è destinata a restare solo un’utopia? «Leonardo, in realtà, si è occupato della polis in quanto casa collettiva dell’uomo. A lui interessano, appunto, le funzioni: tenere persone e palazzi al riparo della forza soverchiante delle acqua; la pulizia di case, strade, stalle; il trasporto delle merci alle case; assicurare che i canali non ristagnino e si riempiano d’immondizie». E come ha pensato di risolvere il problema del traffico? «Con due flussi separati: i camminamenti per i pedoni, o gentili omini, nelle strade a livello superiore; il traffico delle merci, invece, al livello inferiore. Separazione che resta ancora un tabù, oggi. Tranne, ovviamente, a Venezia, dove l’utopia si è realizzata spontaneamente: le merci veicolate sui canali; il passaggio delle persone nelle calli e sotto i portici». Il futuro, si annuncia, è l’architettura semovente... Un sognatore come Leonardo se la sarebbe immaginata? «Le sue concezioni robotiche, sì, in un certo senso sono il preludio delle architetture automatiche nell'epoca del “pensiero” sviluppabile in una macchina. Architetture che si allargano, si aprono, si chiudono, muovendosi in modo autonomo secondo le più sofisticate applicazioni della robotica, per accompagnare il passaggio o il flusso delle persone (essenzialmente grazie ad applicazioni di sensori a fotoni). In collaborazione con l’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale, USI–SUPSI di Manno, Università della Svizzera Italiana, abbiamo sperimentato sette installazioni all’Accademia di architettura di Mendrisio, e le abbiamo esposte in una mostra dove i visitatori potessero interagire. Così da comprendere le potenzialità del corpo umano e il suo essere comunque unità di misura in un mondo che per buona parte è fatto di interferenze».