“L’artista delle macchine per la civiltà del lavoro”

Paola Cordera riporta l’originale ingegnosità di Leonardo Da Vinci alle realistiche ‘profezie’ sull’automazione e la produzione in serie

Ricostruita al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, la garzatrice continua ch

Ricostruita al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, la garzatrice continua ch

Irresistibile, l’eclettico Leonardo. Persino quando invita il lettore a ridere di lui: “... se qui si fa gran salti da materia a materia”. Dall’arte alla scienza. Un tempo, compenetrate. Oggi, per semplicità, separiamo le competenze. Ma si può definirlo “scienziato” in un mondo nel quale non esistevano, perché stavano nascendo, né la figura, né la mentalità, né la funzione sociale dello scienziato moderno? A riconsiderarlo nella giusta luce, interviene Paola Cordera, raffinata storica dell’arte, ricercatrice al Politecnico di Milano, ateneo che brilla per eccellenze (Arte & design, Ingegneria civile e strutturale, Ingegneria meccanica e aeronautica specialmente), al top della classifica mondiale. Non crede, Professoressa, nei miracolosi precorrimenti di Leonardo? «La singolarità delle innovazioni leonardesche in pittura è inconfutabile. La mostra milanese del 2015 ha ben chiarito come nella sua attività arte e scienza si integrino. Ma il cliché di precursore del sommergibile e dell’aeroplano, dell’automobile e della bicicletta, sì, rischia il ridicolo. Poco sembra avere inventato». Rispetto a chi? «Più che precoce iniziatore, Leonardo ha dato voce e visibilità grafica all’entusiasmo di una cultura condivisa nel ‘400 da tanti artisti-ingegneri, cogliendo principi da applicare e perfezionare in ambiti anche diversi. Del fiorentino Brunelleschi lo impressionano argani e gru. Dal senese Taccola riprende la soffieria a vapore». E Giovan Battista Danti, il “Dedalo di Perugia”, tenta di volare sul Trasimeno. «Ma Leonardo sorprende per l’ostinata perseveranza nel dedicarsi ai problemi tecnici delle macchine con cui realizzare il più antico sogno dell’uomo». Rapporti con gli anonimi ingegneri lombardi? «Sappiamo che Milano è tra le più attive e ambiziose corti italiane. “Metropoli” di 200.000 abitanti (il doppio di Firenze). Al centro di un territorio fertile. Efficiente, l’irrigazione, e la rete navigabile già dai “maestri d’acqua” in gran parte definita. Con alcuni di questi tecnici, Leonardo entra in contatto, oltre che con i matematici Gerolamo e Pier Antonio Marliani e Luca Pacioli». Ecco, a Milano, l’ingeniarius ducalis da Vinci. «Il pragmatismo locale deve avere obbligato il maestro ad altrettanta concretezza. I ritratti commissionati dalla corte sforzesca sono portati a termine in poco tempo. E a chi, se non al Moro, che spende moltissimo in ambito bellico, può offrire i propri servigi, qualificandosi ingegnere-architetto competente anche in caso di guerra sul mare?». Sperando in una buona retribuzione? «Da alcune note, semmai, si affacciano proteste di carattere economico a Ludovico: “... vostra Signoria non creda che abbia denari; per mantenere 6 aiutanti di bottega in 36 mesi, 50 ducati è somma che non quadra”. Sarà Francesco I di Francia a riconoscergli un decorosissimo mantenimento come premièr peintre et ingénieur et architect du Roy». Là cosa realizza? «Molto poco. Il progetto per la residenza reale di Romorantin è presto abbandonato. La scala a doppia elica di Chambord, più tarda, riflette alcune idee leonardesche. Le due rampe indipendenti traducono la necessità di dotare il torrione centrale di percorsi autonomi: due uomini possono percorrerli allo stesso tempo senza vedersi». Fanno “girar la testa” anche le carte vinciane. Massa caotica. Ma, riconosciamo, è la più ampia e suggestiva documentazione sullo sviluppo delle tecniche rinascimentali? «Straordinaria, senza dubbio, l’efficacia dei disegni. Sezioni, dettagli, vedute assonometriche e in esploso che scompongono talvolta le macchine negli elementi costitutivi: spettacolare, il foglio dell’Ambrosiana, con l’argano a due ruote, forse ispirato a dispositivi in uso nei cantieri fiorentini. Uno degli oltre millecento fogli del solo Codice Atlantico, dove ampio spazio è dedicato a temi tecnico-scientifici». Che lei stessa ha indagato. Interessata a nuovi percorsi di ricerca? «L’industria tessile. Il quadro d’insieme, in parte ancora da chiarire, dimostra l’importanza economica e sociale di questo settore in età sforzesca: al 1493-97 risalgono i disegni di Leonardo sul tema. Molti, anche nel Codice di Madrid I. Scoperto per caso nel 1966, ha aperto nuovi orizzonti sugli studi vinciani di meccanica teorica e meccanismi». Macchine che prefigurano invenzioni? «Nel telaio automatico l’idea della navetta volante, per certi versi, anticipa di tre secoli la rivoluzione industriale. La garzatrice permette la lavorazione ripetuta delle pezze di lana senza fermarsi; ancor meglio è la garzatrice a movimento intermittente: non vincolato a una lunghezza prestabilita della stoffa. Nei due fusi per binare la seta, c’è un sistema di arresto automatico nel caso di rottura di uno dei due fili. E il maglio battiloro, per fabbricare i lustrini metallici degli abiti di gala, prevede il ritorno automatico del maglio a fine corsa». Per agevolare il lavoro nei campi? «Pensa, dalle parti di Vigevano, a un mulino a cilindri multipli, a cavallo di un corso d’acqua, azionato da una sola forza motrice». Leonardo, dunque, almeno profeta dell’automazione e della produzione in serie? «L’immagine popolare della sua impetuosa carica inventiva, sì, dovrebbe riconoscere che la sua ricerca va verso ciò che può liberare l’uomo dalla schiavitù della fatica. Con lui, le macchine entrano nella civiltà come fattore di progresso tecnologico». Perciò le rappresenta in ritratti d’artista? «Il suo approccio “scientifico” gli permette di tradurre magistralmente il reale in pittura. Sapete dove cercare Leonardo scienziato? Nel Cenacolo. Sintesi mirabile degli studi di prospettiva, acustica, ottica, anatomia e meccanica a fine Quattrocento».