I riflettori si accendono sulla “Diva di Parma ” tra il mito e il mistero

Operazione rinascimento intorno alla testina leonardesca. Preziosità e vanto della galleria nazionale a Palazzo Pilotta

Leonardo, testa di leda,    castello sforzesco, 1510 c.

Leonardo, testa di leda, castello sforzesco, 1510 c.

Poco tempo prima di emigrare in un accogliente castello francese, da dove non avrebbe più fatto ritorno, Leonardo passa da Parma. Lo annota lui stesso, il 25 settembre 1514. Sta viaggiando nell’Italia del Nord per incarico di Giuliano de’ Medici, Capitano della Chiesa, che ha giurisdizione su Parma e Piacenza. Dovranno però trascorrere ancora trent’anni perché, con l’erezione a ducato del territorio, assegnato da Papa Paolo III a suo figlio e ai discendenti, la dinastia Farnese incominci a trasformare Parma nel centro di una fastosa vita di corte. Imponente palazzo simbolo, la Pilotta. Una reggia che diventerà anche spazio di ricchissime raccolte d’arte. Entrare, oggi, a cercare il sorriso della più incantevole ragazza del Rinascimento, qui misteriosamente apparsa nel Settecento, vale un’avventura dentro il labirinto della storia. La piccola mostra La fortuna de “La Scapiliata” di Leonardo da Vinci (18 maggio-12 agosto), incastonata nelle sale del Rinascimento emiliano, come un riflettore allargherà gli effetti di luce su tutto un percorso restituito al primitivo decoro della sede e all’ammirazione del pubblico, grazie al solerte direttore Simone Verde. LA STAR, certo, è lei. Spesso ospite illustre di esposizioni in giro per il mondo, questa volta, a casa, si circonda di comparse che, nell’imitarla, suggeriscono indizi per sciogliere, o rendere più intrigante, la trama della sua favola. Si vedranno una Testa di donna coi capelli sciolti e collana di perle, del Maestro della Pala Sforzesca. E un busto di giovane donna disegnato a matita rossa da Giovanni Agostino da Lodi, dal Louvre. E una dolcissima Salomè che esibisce come un trofeo la testa mozza del Battista nella raffigurazione di Bernardino Luini. Soprattutto, insieme a schizzi preparatori di Leonardo, prestati dalla Regina Elisabetta, ci sarà la Leda considerata copia del perduto dipinto del maestro. Una versione di alta qualità. Al punto che studiosi di rango l’hanno considerata autografa. L’opera si trovava in Francia, nell’Ottocento, nella collezione del marchese de la Roziér. Poi passata nella Raccolta de Roublé. Quindi a Ludovico Spiridon. Venduta illegalmente nel 1941 dalla vedova Spiridon al nazista Göring. NEL 1948, fu recuperata da Rodolfo Siviero, consegnata a Palazzo Vecchio e dal 1989 esposta agli Uffizi. Individuato non senza difficoltà da Marani, un “Ferrando spagnolo Dipintore” assistente di Leonardo ai tempi della Battaglia d’Anghiari, e attento a imparare le modulazioni del chiaroscuro e la prospettiva “de’ perdimenti”, è forse l’autore di questa Leda ignuda, sedotta da Zeus in forma di cigno, e con ai piedi due uova da cui escono quattro bambini (sì, il dio lascia l’altra metà della notte d’amore a Tindaro, marito della regina spartana, che così concepisce esseri spartiti tra cielo e terra, Elena e Polluce, Clitennestra e Castore). Il prototipo, nella posa eretta, un’invenzione di Leonardo. Ma la sua opera era stata vista a Fontainebleau già in cattive condizioni nel 1625. Poi, più nulla. E ora tutti a chiedersi cosa abbia a che fare la Scapiliata con la grandiosa avventura del re dell’Olimpo attratto da donne mortali. Nel mito, sempre, si deposita una scheggia di verità, magari evidente in un sorriso con la consistenza di un sogno... Quando c’è di mezzo un genio, tutto però si complica meravigliosamente. PIÙ FACILE, senza dubbio, rintracciare, in una sezione della mostra, Gaetano Callani, il pittore di corte arrivato a possedere la Scapiliata. E Giovanni Godi, esperto e simpaticissimo consigliere degli Amici della Pilotta, svela un’incisione del 1782 tratta da un quadro commissionato all’accademico da un “Milordo Inglese”: con tutti gli emblemi del suo sapere, un ritratto dell’insigne Leonardo da Vinci. Devoto a lui, Callani seppe riconoscere la sua mano nel piccolo capolavoro che, ceduto a Parma, la distingue oggi nella geografia dell’arte.